GEOdi, la Geologia diventa digitale al MUSE

Ben 11.500 reperti geologici del MUSE e del Museo Geologico delle Dolomiti a Predazzo digitalizzati e messi online
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Si chiama GEOdi ed è un progetto del MUSE Museo delle Scienze di Trento, cofinanziato dal “Fondo per la Cultura” del Ministero della Cultura che ha permesso di digitalizzare e rendere accessibili   online le schede di 11.500 reperti, parte del patrimonio geologico e mineralogico del MUSE e della sede territoriale del Museo Geologico delle Dolomiti a Predazzo. Con l’obiettivo di valorizzare le proprie collezioni e renderle davvero patrimonio collettivo, il progetto ha supportato le azioni di inventariazione, geolocalizzazione e messa a disposizione virtuale dei reperti, oltre allo sviluppo di una serie di azioni di comunicazione che il museo rende disponibili in questi giorni. Oltre a un video (qui), a inizio 2024 saranno infatti pubblicati 10 podcast dedicati alla divulgazione geologica per l’infanzia e un’esperienza virtuale in 3D fruibile presso il museo tramite visori. Grazie alla realtà virtuale, visitatrici e visitatori potranno vivere un’esperienza immersiva alla scoperta del patrimonio geologico trentino.

Obiettivo del progetto, che ha avuto una durata complessiva di sedici mesi, è stimolare la conoscenza e l’interesse per il mondo della mineralogia e della petrografia nei suoi diversi aspetti di geodiversità, fornendo strumenti interpretativi e valorizzando il patrimonio geo-mineralogico del territorio. Ora i dati geolocalizzati verranno trasferiti anche al portale europeo GeoCASe.eu, che raccoglie 1.700.000 record di minerali, rocce e fossili provenienti da 212 paesi differenti e appartenenti alle collezioni di Scienze della Terra dei più importanti musei europei.

Grazie a questo progetto – spiega Maria Chiara Deflorian – curatrice delle collezioni per il MUSE – abbiamo avuto l’opportunità di compiere un deciso passo avanti nella digitalizzazione delle collezioni del MUSE. Nello scenario internazionale questo processo ha assunto ormai un ruolo cardine nella gestione delle collezioni scientifiche. Trasformati in “Digital extended specimens”, i campioni conservati nei musei possono essere fruiti dalle ricercatrici e dai ricercatori di tutto il mondo, così come da appassionati e curiosi, divenendo veramente patrimonio pubblico. Il catalogo digitale sviluppato nel corso del progetto si ispira ai principi FAIR che guidano la condivisione dei dati di ricerca, perché siano Findable / Rintracciabili, Accessible / Accessibili, Interoperable / Interoperabili e Re-usable / Riutilizzabili. Inoltre, abbiamo voluto far conoscere le collezioni e veicolare i contenuti della geologia in modo coinvolgente e immersivo, con la realizzazione di un’esperienza in realtà virtuale e dei podcast dedicati, soprattutto, ai bambini”.

“Negli ultimi decenni, il ruolo chiave delle collezioni di storia naturale per l’interpretazione dei processi di trasformazione ecosistemica e sociale ha acquisito un riconoscimento universale. Nei musei preserviamo il passato e discutiamo del presente per affrontare il futuro” – spiega il direttore del settore ricerca MUSE Massimo Bernardi.  “La digitalizzazione delle collezioni è uno dei più potenti strumenti per rendere accessibili i reperti conservati nei depositi dei musei, perché possano essere impiegati per generare nuove conoscenze e fruiti da tutte e tutti. In linea con la nostra mission, abbiamo proposto al Ministero della Cultura questo progetto che mette in valore geologia, collezioni e territorio: storie di rocce e storie umane intrecciate tra loro a plasmare paesaggi e culture. Siamo lieti il Ministero abbia deciso di supportare questo progetto che riconosce l’importanza fondamentale dei musei quali luoghi di conservazione, ricerca e fruizione del patrimonio naturale e culturale”.

Digitalizzazione e catalogazione

Grazie a GEOdi è stato catalogato e digitalizzato in modo completo il patrimonio mineralogico e petrografico del MUSE, costituito da 10.000 campioni di minerali e rocce raccolti dal tardo Settecento a oggi, di particolare rilevanza per il territorio locale. Le operazioni di riordino, etichettatura e inventariazione hanno riguardato oltre 2.000 campioni non ancora inseriti nelle raccolte, che sono stati poi catalogati tramite software e georeferenziati. Sono state inoltre riviste ben 8.000 schede già presenti, completate poi con la georeferenziazione. Per documentare fotograficamente tutti i campioni sono stati realizzati più di 16.000 scatti.

Ai 10.000 reperti del MUSE si aggiungono 1.500 campioni di minerali e rocce, patrimonio del Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo. Per questi campioni, già ben documentati e catalogati nei decenni precedenti grazie all’attività di ricerca e conservazione del museo, si è provveduto alla georeferenziazione della località di raccolta.

Le collezioni interessate dal progetto sono state: la Collezione mineralogica generale che comprende 6.200 campioni provenienti principalmente dalla nostra regione e raccolti a partire dal tardo Settecento; la Collezione Miniere, che comprende una significativa campionatura di mineralizzazioni (730 campioni) relativa ai lavori di ricerca compiuti in più di 70 miniere e giacimenti siti in Trentino-Alto Adige e in altre aree del Nord Italia; la Collezione petrografica generale, con 1.500 campioni provenienti da tutto il territorio trentino (per la maggior parte proveniente dalle ricerche del geologo Giovanni Battista Trener a cui si sono aggiunti successivamente numerosi campioni rappresentativi della diversità litologica del Trentino); la Collezione petrografica Augusto Sourdeau, una preziosa raccolta di valore storico, scientifico ed estetico, composta da 1.500 campioni levigati di rocce provenienti dall’ex Impero austro-ungarico, assemblata dal barone Augusto Sourdeau e ceduta al Museo nel 1925; la Collezione mineralogica e la Collezione petrografica del Museo Geologico delle Dolomiti, che riuniscono 1.500 campioni provenienti prevalentemente dai territori dolomitici circostanti e ne descrivono compiutamente la ricchezza e la varietà geologica; sono state assemblate grazie all’attività di ricerca condotta dal Museo a partire dagli anni ’70 e alle numerose donazioni di collezionisti e appassionati.

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