Una sostanziale influenza dell’uomo sul comportamento degli incendi nelle savane australiane è iniziata quasi 11.000 anni fa, secondo un’analisi degli strati di carbone nei sedimenti lacustri pubblicata su Nature Geoscience. Queste scoperte possono aiutarci a capire come gestire la crescente frequenza degli incendi selvaggi, dovuta ai cambiamenti climatici.
Il valore del fuoco
Il fuoco è stato a lungo utilizzato dalle comunità indigene in Australia per aiutare a gestire il territorio in modo vantaggioso per le comunità stesse – come ad esempio per prevenire i roghi incontrollati – e la combustione intenzionale ha un impatto sia sull’abbondanza sia sulla biodiversità di piante e animali. Tuttavia, anche gli incendi naturali, come quelli provocati dai fulmini, erano molto diffusi e le condizioni climatiche determinavano la propensione del terreno a prendere fuoco.
La mancanza di registrazioni dettagliate degli incendi che risalgano alle decine di migliaia di anni di presenza umana in Australia rende difficile determinare quando sia iniziata l’influenza umana sul regime naturale degli incendi. Michael Bird e colleghi della James Cook University hanno analizzato il carbone e i composti chimici derivati dal fuoco nei sedimenti della laguna di Girraween, situata nel Territorio del Nord, in Australia.
Lo studio
Il team ha ricostruito la frequenza e l’intensità degli incendi nell’ecosistema della savana negli ultimi 150.000 anni. Hanno riscontrato un netto cambiamento a partire da circa 11.000 anni fa, passando da incendi meno frequenti e più intensi a roghi più frequenti ma meno impattanti, e hanno scoperto che questo potrebbe riflettere l’inizio della modificazione dell’uomo del fuoco a livello di paesaggio.
Gli autori ritengono che le loro scoperte mostrino come l’uomo abbia gestito la possibilità che si verificassero incendi ad alta intensità e suggeriscono, inoltre, che il rischio di roghi futuri potrebbe essere mitigato dalla reintroduzione di tecniche di gestione indigene.