Il 5 maggio 1821 segna la fine di un’era, con la morte di uno degli uomini più iconici della storia europea: Napoleone Bonaparte. Il celebre generale e statista, che aveva dominato il continente per oltre un decennio con la sua audacia militare e le sue riforme rivoluzionarie, si spegneva in esilio sull’isola di Sant’Elena, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico.
La vita tumultuosa di Napoleone Bonaparte
La vita tumultuosa di Napoleone, iniziata come un ufficiale di artiglieria durante la Rivoluzione francese, lo aveva portato rapidamente alle vette del potere. Divenne console nel 1799 e poi imperatore nel 1804, dominando gran parte dell’Europa attraverso una serie di brillanti campagne militari.
Tuttavia, la sua ambizione senza limiti lo portò alla rovina. Dopo la sua sconfitta decisiva nella battaglia di Waterloo nel 1815, Napoleone fu costretto all’esilio. Inizialmente fu confinato sull’isola di Elba, ma presto fuggì e tornò in Francia per un breve periodo di governo noto come i “Cento Giorni“. Tuttavia, la sua ultima speranza di riconquistare il potere svanì con la sua sconfitta definitiva a Waterloo.
La sconfitta e l’esilio
Con la sconfitta finale, le potenze europee decisero di esiliare Napoleone in un luogo remoto e inaccessibile: l’isola di Sant’Elena, situata a oltre 1800 km al largo della costa occidentale dell’Africa. Qui, l’ex imperatore francese trascorse gli ultimi 6 anni della sua vita, circondato solo da un piccolo seguito di fedeli e dalle guardie britanniche che lo sorvegliavano.
Fu durante questo periodo di esilio che la salute di Napoleone iniziò a declinare. Afflitto da problemi di salute per gran parte della sua vita, sviluppò un tumore allo stomaco che alla fine lo portò alla morte. Il 5 maggio 1821, all’età di 51 anni, Napoleone Bonaparte morì nella sua modesta residenza sull’isola di Sant’Elena.
La sua morte segnò la fine di un’epoca e suscitò reazioni contrastanti in tutta Europa. Mentre alcuni celebravano la scomparsa di un uomo che aveva portato guerra e instabilità per così tanto tempo, altri lo piangevano come un eroe che aveva rivoluzionato l’Europa con le sue idee e le sue conquiste.
Tra coloro che furono colpiti dalla morte di Napoleone vi fu Alessandro Manzoni, che dedicò al generale francese l’ode “Il cinque maggio”, un commosso tributo alla sua vita e al suo destino tragico.
“Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fè silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo dè manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! Forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò“.