I neuroni sono importanti, ma non sono tutto. Nella capacità del cervello di acquisire e di memorizzare informazioni, infatti, ha un ruolo determinante la sua “cartilagine”, formata da agglomerati di molecole chiamate condroitin solfati, localizzati nella matrice extracellulare al di fuori delle cellule nervose. A descrivere un nuovo meccanismo di plasticità cerebrale, ovvero il modo in cui le connessioni nervose si modificano in risposta agli stimoli esterni, è lo studio appena pubblicato sulla rivista internazionale Cell Reports. Il lavoro nasce dalla collaborazione tra l’Università di Trento, di Harvard e di Magdeburgo.
“Le abilità sensoriali e la capacità di comprendere l’ambiente che ci circonda dipendono dall’attività del cervello, che ci permette di percepire ed elaborare gli stimoli che provengono dal mondo esterno. Attraverso il nostro cervello siamo in grado di acquisire e memorizzare nuove informazioni, e di ricordare quelle già acquisite. Questo fenomeno affascinante è reso possibile dalla capacità del cervello di modificare continuamente la struttura e l’efficacia delle connessioni neuronali (sinapsi) in risposta agli stimoli esterni. Capacità che prende il nome di plasticità sinaptica. Capire come avvengono le modificazioni sinaptiche e come esse contribuiscano all’apprendimento e alla memoria è una delle grandi sfide delle neuroscienze,” commentano Yuri Bozzi, professore dell’Università di Trento e co-senior author, e Gabriele Chelini, primo autore. Chelini, che aveva iniziato a seguire questo progetto nel 2017, quando lavorava nel laboratorio di Sabina Berretta (McLean Hospital e Harvard Medical School, Boston), ha concluso la realizzazione della pubblicazione scientifica durante gli anni di attività come postdoc nel laboratorio di Bozzi all’Università di Trento.
I risultati ottenuti hanno una chiara rilevanza clinica. “Sapendo da studi precedenti che questi agglomerati sono ridotti in persone con diagnosi psichiatriche, possiamo dire di aver fatto un piccolo passo nella comprensione di questi disturbi. Possiamo inoltre ipotizzare che in alcune condizioni venga meno l’organizzazione spaziale delle connessioni tra neuroni e immaginare approcci terapeutici che ristabiliscano armonia nella connettività cerebrale” affermano gli studiosi.
Il metodo di lavoro
Al centro della ricerca ci sono i condroitin solfati, molecole ben note per il loro ruolo nelle articolazioni, ma che svolgono anche una funzione cruciale nella plasticità cerebrale, essendo parte integrande della matrice extracellulare del cervello. Nel 2007, uno studio giapponese aveva descritto la presenza di agglomerati di condroitin solfati, di forma circolare, sparsi in maniera apparentemente casuale nel cervello. Questo lavoro era però scivolato nel dimenticatoio, finché il laboratorio di neuroscienze traslazionali di Sabina Berretta non ha riportato all’attenzione della comunità scientifica queste strutture, ribattezzandole col nome di agglomerati CS-6 (da condroitin solfato-6, che ne identifica la precisa composizione molecolare) e dimostrando come tali strutture fossero gravemente ridotte nel cervello di persone con disturbi psicotici. Nel 2017 quindi, Gabriele Chelini, neo-assunto nel laboratorio di Berretta, è stato incaricato di rivelare la funzione di questi agglomerati.
“Dapprima siamo andati ad esplorare in dettaglio queste strutture, visualizzandole ad altissima risoluzione. Abbiamo scoperto che non sono altro che gruppi di sinapsi ricoperte di CS-6 e organizzati in una forma geometrica ben riconoscibile. Abbiamo quindi evidenziato una nuova tipologia di organizzazione sinaptica” raccontano gli studiosi. “A questo punto abbiamo dovuto usare un po’ di “creatività sperimentale”; con una combinazione di approcci comportamentali, molecolari e un raffinato studio di morfologico abbiamo capito che queste connessioni racchiuse negli agglomerati CS-6 si modificano in risposta all’attività elettrica del cervello“.
“Infine, grazie alla collaborazione con l’Università di Magdeburgo e il laboratorio di Alexander. Dityatev, abbiamo parzialmente eliminato CS-6 nell’ippocampo (la regione del cervello responsabile dell’apprendimento spaziale), dimostrando che la presenza di CS-6 è necessaria per la memoria spaziale” sottolineano Bozzi e Chelini.
Lo studio offre, quindi, un contributo di rilievo. “Questo lavoro apre la strada a un nuovo modo di concepire il funzionamento del cervello. È possibile che tutte le sinapsi contenute negli agglomerati CS-6 abbiano la capacità di rispondere in maniera corale a specifici stimoli ambientali, e siano implicate in una funzione comune finalizzata ai processi di apprendimento e memoria” osservano.
Lo studio
Il lavoro è il frutto della collaborazione tra diversi laboratori, tra cui il laboratorio di neuroscienze traslazionali (Sabina Berretta; McLean Hospital – Harvard Medical School, Boston), il laboratorio di ricerca sui disturbi del neurosviluppo (Yuri Bozzi; CIMeC – Centro Interdipartimentale Mente/Cervello, Università di Trento) e il laboratorio di neuroplasticità molecolare (Alexander Dityatev; Otto von Guericke University, Magdeburgo).
Gabriele Chelini, primo autore dell’articolo, oggi ricercatore all’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa, è stato postdoc del laboratorio di Bozzi fino a due mesi fa. Chelini aveva iniziato a seguire questo progetto nel 2017, quando lavorava nel laboratorio di Berretta a Boston, e ha concluso la realizzazione della pubblicazione scientifica durante gli anni di attività all’Università di Trento.
L’articolo, dal titolo “Focal clusters of peri-synaptic matrix contribute to activity-dependent plasticity and memory in mice”, è firmato da Gabriele Chelini, Hadi Mirzapourdelavar, Peter Durning, David Baidoe-Ansah, Sinead O’Donovan, Torsten Klengel, Luigi Balasco, Cristina Berciu, Anne Boyer-Boiteau, Robert McCullumsmith, Kerry J. Ressler, Yuri Bozzi, Alexander Dityatev e Sabina Berretta.