L’intestino, si sa, è il nostro secondo cervello. Con il cervello “parla” e riesce a influenzarlo in salute e in malattia. Tanto che “l’infiammazione del colon anticipa l’insorgenza dei difetti di memoria dell’Alzheimer“. Lo suggerisce uno studio italiano condotto nell’ambito dello Spoke 4 di Mnesys, ‘Cern italiano’ per la ricerca sul cervello finanziato dal Pnrr, anima del I Forum nazionale delle neuroscienze che si chiude oggi a Napoli.
Colon e Alzheimer
“Il corpo – spiegano gli scienziati – parla con il cervello non solo attraverso connessioni nervose, ma anche per mezzo di segnali provenienti dal microbiota“, il mega-mix di microrganismi che abita nell’intestino. “Individuare quali, fra questi segnali, possano influenzare la salute del cervello e avere eventualmente un ruolo nella ‘storia naturale’ delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer“, è uno degli obiettivi dello Spoke 4 e dello studio ‘Experimental colitis in young Tg2576 mice accelerates the onset of an Alzheimer’s-like clinical phenotype’, condotto sui roditori da un gruppo di ricerca dell’università di Bologna guidato da Laura Calzà e Luciana Giardino.
Il lavoro, pubblicato a maggio su ‘Alzheimer’s Research & Therapy’, indica appunto il link tra infiammazione del colon e rischio Alzheimer. “Invecchiando precocemente – descrivono i ricercatori – il microbiota intestinale provoca un’infiammazione organica e altera le proprietà degli astrociti, una popolazione di cellule gliali che svolge un ruolo fondamentale di supporto all’attività dei neuroni“.
“Questo lavoro – afferma Calzà, ordinaria di Anatomia degli animali domestici del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’ateneo bolognese – rientra all’interno dell’inquadramento di riferimento stabilito dalla commissione ‘Lancet Neurology’ del 2020 su prevenzione, intervento e cura della demenza e sull’importanza di identificare i fattori di rischio modificabili che entrano in gioco sull’insorgere della fase sintomatica di questa patologia. Se è vero infatti che la malattia di Alzheimer si sviluppa subdolamente per anni, danneggiando il cervello prima che compaiano i sintomi e venga diagnosticata, è altrettanto vero che conoscere questa fase presintomatica della malattia apre possibilità preventive e terapeutiche completamente nuove, ad esempio regolando opportunamente i segnali che derivano dal microbiota“.
“Ad oggi – ricorda Patrizia Fattori, ordinaria di Fisiologia all’Università di Bologna e coordinatrice dello Spoke 4 – la Commissione Lancet su prevenzione, intervento e assistenza alla demenza ha individuato 12 fattori di rischio modificabili responsabili di circa il 40% delle demenze mondiali, che di conseguenza potrebbero essere teoricamente prevenute o ritardate e che influenzano individui di tutte le età. La nostra comprensione della demenza sta cambiando, con la descrizione più recente di nuove cause patologiche, e ciò – prospetta la specialista – permetterà di ridurre sempre più l’impatto di queste patologie“.