“Una nuova era dell’immunoterapia contro il cancro” potrebbe aprirsi grazie a uno studio italiano sul recettore Glp-1R: il bersaglio di farmaci ormai noti al grande pubblico come semaglutide e gli altri agonisti Glp-1R, antidiabetici e anti-obesità con effetti salvacuore e potenziali futuri utilizzi anche contro alcolismo, malattie epatiche e renali. Il nuovo lavoro, pubblicato su Cell Metabolism, è firmato da scienziati del Centro di ricerca pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi dell’università Statale di Milano.
Nuova era per la cura dei tumori
Gli autori – annunciano dall’ateneo – hanno scoperto che “il recettore pancreatico Glp-1R, importantissimo nella cura del diabete e dell’obesità“, da un lato “è in grado di controllare l’attività immunitaria nei linfociti T, prolungando la sopravvivenza dei trapianti” e quindi “limitandone il rigetto“. Ma dall’altro lato “è emerso anche che, bloccando Glp-1R, si genera immunità antitumorale in un modello preclinico di cancro del colon-retto“.
Glp-1R, infatti, “agirebbe come checkpoint immunitario nei linfociti T“. Lo studio indica dunque “una duplice funzione del recettore Glp-1R“: se “la stimolazione del recettore prolunga la sopravvivenza del trapianto d’organo, limitando la risposta immunitaria e riducendo l’infiltrazione dei linfociti T negli organi trapiantati“, al contrario “il blocco del recettore genera un’immunità antitumorale“.
Effetto immunoregolatorio
Sul fronte trapianti, la ricerca mostra “come un aumento di linfociti T Glp-1R positivi sia presente all’interno dell’organo trapiantato e come l’uso di Glp-1R agonisti prolunghi significativamente la sopravvivenza del trapianto sia cardiaco sia di isole pancreatiche. La modulazione farmacologica e genetica di Glp-1R conferma che l’attivazione del recettore ha un effetto immunoregolatorio, mentre l’assenza del recettore accelera il rigetto d’organo“.
Per ottenere un effetto anti-rigetto, insomma, Glp-1R andrebbe attivato, mentre per sfruttarne le potenzialità anti-cancro andrebbe inibito. “L’attivazione di Glp-1R – illustra Paolo Fiorina, professore di Endocrinologia in UniMi e direttore dell’Unità di Endocrinologia/Diabetologia dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano – produce un segnale co-stimolatorio negativo sulle cellule T simile all’effetto osservato per la proteina Pd-1, un recettore spesso bersaglio di immunoterapia, che una volta bloccato stimola l’attacco del tumore da parte del sistema immunitario. L’espressione di Glp-1R aumenta in vitro e in vivo durante la risposta alloimmune, analogamente a Pd-1“.
Quando il team guidato da Fiorina, di cui fa parte il primo autore dello studio Moufida Ben Nasr, ha aumentato geneticamente l’espressione di Glp-1R sulle cellule T – riporta una nota – è stata osservata l’attivazione e la morte cellulare delle cellule T, mentre l’eliminazione del gene di Glp-1R accelerava il rigetto d’organo. All’opposto, l’antagonismo di Glp-1R ha generato un’immunità antitumorale in un modello preclinico di cancro del colon-retto.
L’antagonismo di Glp-1R
“Pensiamo che il Glp-1R agisca come una molecola co-stimolatoria negativa sulle cellule T – ribadisce Fiorina – cosi che il recettore Glp-1R possa essere definito a tutti gli effetti come un checkpoint del sistema immunitario e i suoi antagonisti possano stimolare l’immunità antitumorale, mentre gli agonisti del recettore possono facilitare la regolazione immunitaria“.
Benché “saranno necessari ulteriori studi per determinare l’esatto meccanismo attraverso il quale l’antagonismo di Glp-1R esercita la sua attività antitumorale e per confermare l’importanza di questi risultati in un contesto clinico ben definito“, precisano gli autori, “la rilevanza di questo approccio – conclude Fiorina – è che potrebbe aprire una nuova era dell’immunoterapia contro il cancro basata sull’uso dell’antagonismo di Glp-1R, in particolare per i pazienti che non rispondono alle terapie anti-Pd-1“.
La ricerca è stata sostenuta dalla Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi e condotta in collaborazione con Franco Folli, professore di Endocrinologia della Statale e direttore dell’Unità di Endocrinologia/Diabetologia dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, e con la Harvard Medical School negli Usa.