Negli ultimi mesi, l’andamento del Covid-19 tra gli over 90 ha sollevato interrogativi significativi tra gli esperti di sanità pubblica e virologi. I dati più recenti indicano infatti un aumento preoccupante della mortalità tra gli ultranovantenni, ma ciò che desta maggiori perplessità è l’apparente discrepanza tra il numero di decessi e la quasi totale assenza di ricoveri in terapia intensiva per questa fascia d’età.
La mortalità del Covid tra gli over 90
Secondo il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute, la mortalità tra gli over 90 è cresciuta in modo allarmante: da 1 per milione di abitanti il 6 maggio, a 29 per milione il 5 agosto. Tuttavia, nello stesso periodo, il tasso di ricoveri in terapia intensiva per gli ultranovantenni è rimasto incredibilmente basso, oscillando tra 0 e 1 per milione di abitanti.
Francesco Broccolo, virologo dell’Università del Salento, ha espresso la sua preoccupazione: “I dati indicano che oltre l’80% dei deceduti ha più di 90 anni e contemporaneamente indicano che nelle terapie intensive non ci sono quasi ricoverati di quell’età“. Questa osservazione apre un dibattito cruciale sulla gestione clinica di questa fascia vulnerabile della popolazione.
Un elemento chiave per comprendere questa discrepanza potrebbe risiedere nel tipo di sintomatologia che colpisce gli over 90. Broccolo suggerisce che, nonostante l’elevato tasso di ospedalizzazione in reparti ordinari – che è passato da 13 per milione di abitanti il 6 maggio a 173 il 29 luglio – gli anziani non sviluppano sintomi gravi tali da richiedere la terapia intensiva. “Il decorso della malattia è lieve, si tratta di forme moderate che non fanno innalzare i parametri di saturazione“, spiega il virologo, sottolineando che molti pazienti non presentano sintomi acuti o gravi complicazioni cliniche.
Tuttavia, l’apparente stabilità delle condizioni cliniche di questi pazienti non elimina il rischio di un’evoluzione sfavorevole della malattia. Broccolo avverte che potrebbe essere utile adottare test basati su biomarcatori specifici per Covid-19, come il suPar, per prevedere eventuali sviluppi critici già al momento del ricovero. “Sono test disponibili, ma che non vengono utilizzati nella pratica clinica. Eppure, attraverso questo biomarcatore ormai ben validato sarebbe possibile predire i casi critici, misurando il livello di attivazione nella risposta immunitaria“, osserva Broccolo. Questa strategia potrebbe, quindi, rivelarsi cruciale per migliorare la gestione clinica e ridurre ulteriormente la mortalità tra i pazienti più anziani.