La recente scoperta di un meccanismo relativo al congelamento dell’acqua di scioglimento delle nevi sui ghiacciai potrebbe avere un impatto significativo sulle previsioni dell’innalzamento del livello del mare globale. Questo è quanto emerge da uno studio condotto dall’Università del Texas ad Austin e pubblicato su Geophysical Research Letters. Le due principali riserve di acqua dolce del pianeta, le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, sono ricoperte da neve non ancora trasformata in ghiaccio solido, nota come firn. Essendo poroso, il firn consente alla neve sciolta di infiltrarsi e congelarsi di nuovo, piuttosto che defluire direttamente verso il mare.
Ghiaccio ed innalzamento del livello del mare
Questo processo è ritenuto ridurre il deflusso di acqua di fusione di circa la metà. Tuttavia, è anche possibile che si formino strati di ghiaccio impermeabili che possono fungere da barriere, deviando l’acqua di scioglimento verso l’oceano. “Quindi, ci sono casi in cui questi strati di ghiaccio nel firn accelerano la velocità con cui l’acqua di scioglimento scorre negli oceani“, hanno dichiarato gli autori dello studio.
Secondo i ricercatori, la capacità dell’acqua di fusione glaciale di congelare nei firn o di essere deviata dalle barriere di ghiaccio esistenti sottolinea l’importanza di comprendere le dinamiche di congelamento all’interno dello strato di firn per una stima precisa dell’innalzamento del livello del mare. La ricerca evidenzia che la formazione dello strato di ghiaccio è una competizione tra due processi: l’acqua di fusione più calda che scorre attraverso il firn poroso (advezione) e il ghiaccio freddo che congela l’acqua tramite conduzione del calore.
La profondità alla quale la conduzione del calore prevale sull’advezione del calore determina la formazione di un nuovo strato di ghiaccio. “Ora che conosciamo la fisica della formazione di quegli strati di ghiaccio, saremo in grado di prevedere meglio la capacità di ritenzione dell’acqua di fusione del firn“, ha dichiarato Surendra Adhikari, coautore dello studio e geofisico del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA.