Studio decennale: nessuna prova trovata per l’evoluzione darwiniana

"La maggior parte dei siti genetici sperimenta una selezione variabile, con un effetto medio vicino allo zero, indicando una scarsa pressione di selezione costante in tempi diversi e una selezione diffusa in molte regioni genomiche"
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Negli ultimi decenni, la teoria dell’evoluzione darwiniana è stata considerata un caposaldo della biologia, un pilastro fondamentale per comprendere lo sviluppo e la diversità della vita sulla Terra. L’idea che la selezione naturale rappresenti il motore principale dell’evoluzione ha permeato la nostra cultura, dalle aule scolastiche fino ai documentari scientifici. Tuttavia, uno studio decennale condotto su una popolazione di pulci d’acqua mette in discussione alcuni dei presupposti chiave di questa teoria, sollevando interrogativi sull’effettiva capacità della selezione naturale di spiegare tutti i fenomeni evolutivi.

Selezione naturale: la “grande idea” di Darwin sotto osservazione

La selezione naturale, descritta da Charles Darwin nel 1859 nel suo libro L’origine delle specie, è stata considerata per oltre un secolo come il meccanismo centrale con cui gli organismi si adattano al loro ambiente. Questo processo implica che gli organismi con tratti vantaggiosi per la sopravvivenza e la riproduzione hanno maggiori probabilità di trasmettere quei tratti alla generazione successiva, portando così a un’evoluzione graduale delle specie nel corso del tempo. Filosi come Daniel Dennett, uno dei principali difensori del darwinismo, hanno descritto questa teoria come “la più grande idea mai avuta da qualcuno“.

Tuttavia, mentre la selezione naturale ha resistito a molte critiche, negli ultimi anni è emersa una crescente insoddisfazione per il modo in cui viene comunemente interpretata. Molti ricercatori hanno cominciato a chiedersi se la spiegazione di Darwin, per quanto elegante e convincente, possa effettivamente catturare la complessità dei processi evolutivi osservati in natura.

Lo studio di Michael Lynch: una nuova prospettiva

Uno degli studi più rilevanti che ha sollevato questi interrogativi è stato condotto dal genetista Michael Lynch e il suo team dell’Arizona State University. Pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), lo studio si è concentrato su una popolazione di Daphnia pulex, una specie di pulce d’acqua comune utilizzata come modello per la ricerca sull’evoluzione. Le pulci d’acqua sono particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali e si riproducono rapidamente, il che le rende ideali per studiare le dinamiche genetiche nel corso di molte generazioni.

Lynch e il suo team hanno analizzato il DNA di oltre 1000 campioni di Daphnia per un periodo di dieci anni, con l’obiettivo di osservare eventuali cambiamenti genetici indotti dalla selezione naturale. Secondo la teoria evolutiva classica, ci si sarebbe aspettati di rilevare mutazioni vantaggiose che conferissero un vantaggio competitivo alle Daphnia in risposta a variazioni ambientali. Tuttavia, i risultati hanno svelato una realtà ben diversa: non è stata trovata alcuna evidenza concreta di tali cambiamenti genetici significativi.

I risultati: la selezione naturale è meno costante del previsto

Nella loro analisi, Lynch e colleghi hanno scoperto che, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, la selezione naturale non agisce in modo costante e prevedibile. Al contrario, i ricercatori hanno riscontrato una “selezione variabile“, ovvero una pressione selettiva che fluttua nel tempo e non esercita un effetto significativo sul lungo periodo. Come spiegato nel comunicato stampa dell’Arizona State University: “La maggior parte dei siti genetici sperimenta una selezione variabile, con un effetto medio vicino allo zero, indicando una scarsa pressione di selezione costante in tempi diversi e una selezione diffusa in molte regioni genomiche” .

Questo risultato rappresenta una sfida per la concezione tradizionale della selezione naturale come forza dominante e costante nell’evoluzione. Anziché agire in modo diretto e lineare, la selezione sembra essere più complessa e frammentata, con effetti distribuiti su molteplici regioni del genoma senza che emergano mutazioni favorevoli evidenti.

Implicazioni per l’evoluzione darwiniana

Questi risultati sollevano dubbi significativi sulla capacità della selezione naturale di spiegare tutti i fenomeni osservati nella natura. Se, come suggerisce lo studio, la selezione naturale agisce in modo molto più variabile e sottile di quanto si pensasse, allora potrebbero esserci altre forze evolutive all’opera. Il paradigma classico secondo cui la diversità genetica e la divergenza tra popolazioni sono principalmente frutto di mutazioni casuali e della selezione naturale potrebbe essere solo una parte della storia.

Nel loro studio, Lynch e i suoi collaboratori riconoscono che i loro risultati potrebbero richiedere un ripensamento delle attuali teorie evolutive. Come scrivono nell’abstract della loro pubblicazione: “Questi risultati suggeriscono che la selezione fluttuante interannuale è un fattore determinante dei livelli permanenti di variazione nelle popolazioni naturali, sfidano il paradigma convenzionale per l’interpretazione dei modelli di diversità e divergenza nucleotidica” .

In altre parole, la variabilità nella pressione selettiva potrebbe giocare un ruolo molto più importante di quanto si pensasse, rendendo difficile prevedere o interpretare le dinamiche evolutive basate esclusivamente sulla selezione naturale.

Verso una nuova comprensione dell’evoluzione?

Se da un lato i risultati di questo studio non annullano completamente la teoria dell’evoluzione darwiniana, dall’altro dimostrano chiaramente che le nostre attuali comprensioni del processo evolutivo potrebbero essere incomplete. La selezione naturale, pur rimanendo un meccanismo chiave dell’evoluzione, potrebbe non essere sufficiente per spiegare la complessità e la diversità della vita che osserviamo oggi.

Questi risultati sollevano una domanda cruciale: esistono forse altre forze, ancora non comprese appieno, che influenzano l’evoluzione? E se sì, quali sono? La biologia evolutiva potrebbe dover abbracciare una visione più sfumata e integrata, in grado di riconoscere la complessità dei processi che modellano la vita sulla Terra.

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