Un recente ritrovamento nell’Artico ha portato alla luce una delle storie più agghiaccianti dell’esplorazione umana: il destino tragico della spedizione Franklin del 1845. I resti umani rinvenuti in un antico relitto sono stati identificati grazie a moderne analisi del DNA, fornendo nuove informazioni su eventi drammatici che hanno segnato il fallimento della missione guidata da Sir John Franklin. Questa scoperta svela un passato oscuro e terribile: il cannibalismo come ultima risorsa di sopravvivenza per i membri dell’equipaggio.
Un enigma di oltre 150 anni
Nel 1845, l’HMS Erebus e l’HMS Terror, due navi della Royal Navy britannica, partirono dall’Inghilterra con 129 uomini a bordo, con l’ambizioso obiettivo di trovare una rotta navigabile attraverso il Passaggio a Nord-Ovest, che collega l’Atlantico al Pacifico passando attraverso le insidiose acque ghiacciate dell’Artico canadese. A capo della spedizione vi era Sir John Franklin, un esperto esploratore, ma né la sua esperienza né la preparazione dei suoi uomini riuscirono a evitare il tragico destino che attendeva la missione.
Dopo un primo tratto di navigazione, entrambe le navi furono intrappolate dai ghiacci nei pressi dell’isola di Re Guglielmo. Isolati in una regione inospitale e con scarse possibilità di ricevere aiuto, gli uomini dell’equipaggio dovettero affrontare condizioni estreme, tra cui il gelo, la fame e la malattia. Col passare del tempo, la situazione degenerò in un’agonia che si protrasse per anni, fino alla morte di tutti i membri dell’equipaggio.
Per decenni, la storia della spedizione Franklin è rimasta avvolta nel mistero. Alcuni indizi emersi negli anni — testimonianze degli Inuit, resti di oggetti abbandonati e pochi resti umani — suggerivano l’orribile conclusione della vicenda. Tuttavia, è solo grazie alle tecnologie moderne, come l’analisi del DNA, che oggi possiamo finalmente ricostruire con maggior precisione la terribile storia di quegli uomini intrappolati dai ghiacci.
La scoperta dei resti umani
Un team di ricercatori canadesi ha recentemente annunciato una scoperta di portata storica: l’identificazione dei resti del capitano James Fitzjames, uno dei protagonisti della spedizione. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports nel settembre 2023, si basa su analisi dettagliate del DNA estratto da un dente incastrato in una mandibola, ritrovata tra un cumulo di circa 400 ossa umane rinvenute sull’isola di Re Guglielmo.
I ricercatori hanno confrontato il DNA di Fitzjames con quello di un suo discendente ancora in vita, un cugino di quinto grado. L’analisi genetica ha confermato senza ombra di dubbio l’identità del capitano. Tuttavia, il dettaglio più sconvolgente emerso dallo studio riguarda la modalità della sua morte: Fitzjames, come molti altri membri dell’equipaggio, fu vittima di cannibalismo.
Cannibalismo per sopravvivere
Le terribili condizioni in cui si trovavano i membri della spedizione Franklin portarono alla disperazione, e il cannibalismo divenne una delle ultime risorse per cercare di sopravvivere. Questo macabro dettaglio era già stato ipotizzato in passato, basandosi su testimonianze raccolte dagli Inuit e sui segni di mutilazione scoperti su altri resti umani, ma la conferma definitiva è arrivata solo con le recenti scoperte.
I segni di taglio presenti sulle ossa ritrovate sono inequivocabili: i corpi furono smembrati intenzionalmente e utilizzati come fonte di nutrimento. La scoperta che il capitano Fitzjames sia stato una delle vittime del cannibalismo dimostra la disperazione in cui si trovavano quegli uomini, intrappolati nei ghiacci senza alcuna speranza di salvezza.
Già nel passato, indagini condotte su altri resti rinvenuti nella regione avevano rivelato tracce di cannibalismo, ma è la prima volta che si riesce a identificare con certezza una delle vittime di questa pratica. Fitzjames, che aveva assunto il comando dell’HMS Erebus dopo la morte di Franklin, fu tra i tanti uomini che soccombettero alla fame, al freddo e alle malattie.
Una tragica decisione: abbandonare le navi
Prima della sua morte, Fitzjames lasciò una nota che venne successivamente ritrovata a Victory Point, un tumulo di pietre sull’isola di Re Guglielmo. In questo messaggio, il capitano registrava la morte di Franklin e di altri membri dell’equipaggio, riportando la decisione dei superstiti di abbandonare le navi per tentare di raggiungere il fiume Back, situato a circa 400 chilometri di distanza, nella speranza di trovare soccorso. Purtroppo, nessuno degli uomini riuscì a completare il viaggio, e i loro resti furono scoperti solo molti anni dopo, spesso mutilati dagli stenti e dalla disperazione.
Il mistero dell’Erebus e del Terror
Per anni, la storia della spedizione Franklin ha alimentato speculazioni e leggende. I ritrovamenti delle navi HMS Erebus e HMS Terror, rispettivamente nel 2014 e nel 2016, hanno rappresentato una svolta nella comprensione di quanto accadde a bordo. Tuttavia, è stato solo grazie alle analisi più recenti che si è potuto gettare nuova luce su quella tragica avventura.
I resti della spedizione furono spesso recuperati grazie alla collaborazione con le comunità Inuit, le cui testimonianze si sono rivelate cruciali. Gli Inuit avevano infatti già segnalato la presenza di corpi smembrati, confermando la pratica del cannibalismo tra i membri della spedizione.
Il contributo della scienza moderna
La scoperta dei resti del capitano Fitzjames dimostra ancora una volta il valore inestimabile delle moderne tecniche di analisi genetica e archeologica. Grazie al DNA, i ricercatori sono stati in grado di ricostruire l’identità di uno degli uomini di Franklin, risolvendo un mistero che per più di 150 anni aveva sfidato storici e archeologi.
L’identificazione di Fitzjames e la conferma del cannibalismo rappresentano solo un capitolo della storia tragica della spedizione Franklin. Questo evento ci ricorda quanto l’essere umano sia disposto a spingersi oltre ogni limite, persino in situazioni di estremo bisogno. Grazie alla scienza, possiamo oggi rendere giustizia alle vite di quegli uomini e comprendere meglio i sacrifici e le sfide affrontate in nome della scoperta e dell’esplorazione.