Un dilemma amletico che però ha la soluzione. “Il bicchiere d’acqua servito con il caffè va bevuto prima per pulire la bocca e avere così l’esperienza migliore durante l’assaggio”. Che sia frizzante o naturale è indifferente, ma “meglio se è a temperatura ambiente o leggermente fredda”. Con poche parole all’Adnkronos Carlos Eduardo Bitencourt, brasiliano, fondatore e ceo di Cafezal, torrefazione di caffè specialty – quel caffè di alta qualità selezionato e lavorato per rispettarne le qualità – chiarisce il dubbio. E poi, va bevuto bollente o no? “No” dice Carlos. Il caffè bollente nasce storicamente per motivi di approvvigionamento, sul mercato si trovano tanti caffè difettati e della varietà robusta.
Quel caffè “va tostato di più – spiega –. Diventa più scuro ed è necessaria un’estrazione a più alta temperatura per renderlo più morbido. E questo è tamponare un grosso problema”. Un caffè specialty di alta qualità non può mai essere bollente. Caldo sì, in un range di temperatura che va dai 90 a massimo 94 gradi. Oggi, con le nuove macchine da caffè sul mercato con le quali si può avere una precisa regolazione della temperatura, è possibile, ad esempio, estrarre un caffè kenyota di tostatura medio-chiara a 90 gradi; mentre per un caffè brasiliano di tostatura media, con note più di caramello e cioccolato fondente, vengono impostati i 92 gradi. “Altrimenti distruggo il prodotto”.
Ciò che fa un buon caffè non è l’acqua bevuta prima, la tostatura o l’estrazione, ma il prodotto stesso, come viene trattato in piantagione e come viene processato. “Se parte bene in quelle circostanze – sottolinea il fondatore di Cafezal – si ha già un buon prodotto e ciò che viene fatto dopo può migliorarlo o peggiorarlo”. Nel mondo dei caffè specialty l’attenzione è tutta sulla ricerca del prodotto di più alta qualità. Ci sono i diversi tipi di note – floreali, fruttate, dolci o più complesse -, ma la base resta la materia prima, “per questo diamo un’enorme importanza all’acquisto e allo sviluppo della catena di approvvigionamento direttamente con i produttori migliori”. Che siano kenyoti, etiopi, brasiliani, panamensi o costaricani non è importante: “ogni paese ha tante regioni dove un caffè può essere un’eccellenza. È un po’ come il vino”. L’importante è “conoscere il produttore e i processi messi in campo per valorizzare un determinato prodotto” rimarca Bitencourt.



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