La tecnologia digitale sotto accusa: il crescente impatto ambientale in Francia

I dettagli dell'Agenzia francese per l'Ambiente e la Gestione energetica (Ademe) sui consumi elettrici nazionali
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La tecnologia digitale è responsabile del 4,4% dell’impronta di carbonio in Francia e le tempistiche prevedono che nel 2050 i data center rappresenteranno fino al 6% dell’elettricità consumata nel Paese. Lo segnala l’Agenzia francese per l’Ambiente e la Gestione energetica (Ademe), in un articolo pubblicato sulla propria rivista. “I data center rappresentano la seconda fonte di inquinamento nel settore digitale, dopo la produzione di apparecchiature” spiega l’Ademe, ricordando che “il loro impatto ambientale deriva in parte dal continuo fabbisogno di elettricità necessaria per il loro funzionamento”. Anche quando un server è inattivo, consuma in media 100 watt per rispondere istantaneamente a una richiesta e un grande data center ne contiene migliaia. “Un data center deve garantire la sicurezza fisica del capitale digitale che i nostri clienti ci affidano. E deve anche essere accessibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Quindi, una delle nostre missioni è garantire che tutte le condizioni siano soddisfatte affinché sia costantemente rifornita di elettricità“, spiega Régis Castagné.

I data center attualmente consumano il 2% dell’energia mondiale. E “i grandi data center stanno raggiungendo potenze operative tali che attualmente negli Stati Uniti vengono firmati accordi per beneficiare dell’elettricità proveniente da fonti nucleari”, ha reso noto Bruno Lafitte, esperto di informatica dell’Ademe. “L’impronta di carbonio dei data center si spiega anche con l’uso di sistemi di raffreddamento destinati a regolare il calore che producono”, spiega l’articolo dell’Ademe. Per evitare che ne risentano il funzionamento, i server devono essere mantenuti ad una temperatura ambiente di 25°C. “Il raffreddamento è una delle funzioni vitali di un data center. Questo è un grosso problema. Il 40% dell’energia consumata da questa installazione proviene dal suo sistema di raffreddamento”, aggiunge Lafitte. Oltre al consumo energetico, queste tecniche di raffreddamento richiedono, a seconda della tecnica utilizzata, una grande quantità di acqua, risorsa “diventata strategica a causa degli effetti del riscaldamento globale e dello stress idrico indotto”.

I metodi

Tra i metodi per ridurre l’impatto ambientale dei data center, il principale è quello di ridurre l’uso dell’energia derivante dal carbonio e nell’aumentare l’uso di energie rinnovabili. “Per noi, l’uso dell’elettricità è responsabile del 44% delle nostre emissioni di carbonio. L’obiettivo è utilizzare il 100% di energia rinnovabile entro il 2025. Oggi siamo al 92%”, racconta Grégory Lebourg, direttore ambiente di OVHcloud. “Un grande passo avanti per questa azienda con 1,6 milioni di clienti e 450.000 server, che emette quasi 170.000 tonnellate di CO₂ all’anno”, spiega la rivista dell’Ademe. Un’altra opzione per ridurre l’impronta del carbonio e l’impatto energetico dei data center è “promuovere il riciclo e il riutilizzo dei componenti utilizzati per produrre i server”.

Nell’articolo si spiega che “10 anni dopo la sua creazione nel 1999, OVHcloud ha scelto la logistica inversa”. “Avevamo già deciso di produrre i nostri server per garantire la nostra indipendenza. Dopo 10 anni di utilizzo li abbiamo rimandati ai nostri stabilimenti di produzione per smontarli, testare ogni elemento individualmente e verificare in che misura potevamo riutilizzarli. Oggi, il tasso di riutilizzo dei nostri componenti, grazie a un indicatore da noi creato, oscilla tra il 25 e il 36%. Ciò evita l’emissione di 17.000 tonnellate di CO₂”, ha spiegato Lebourg. Sarebbero allo studio anche iniziative per recuperare e utilizzare il calore generato dai data center nel riscaldamento di edifici e infrastrutture.

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