Per decenni, la Berkeley Pit di Butte, nel Montana, è stata sinonimo di catastrofe ambientale. Le sue acque, altamente acide e cariche di metalli tossici, hanno rappresentato un pericolo costante per l’ecosistema locale. Tuttavia, oggi questa ex miniera di rame abbandonata viene osservata con occhi nuovi: da simbolo di degrado a potenziale miniera d’oro di metalli rari. La storia della Berkeley Pit affonda le radici nel boom minerario di Butte, che vide un’intensa attività di estrazione del rame fino alla chiusura della miniera nel 1982. La conseguenza fu un’enorme cava piena d’acqua contaminata, una miscela letale per fauna e flora. Ma proprio questa miscela, ricca di rame, zinco e terre rare, sta ora attirando l’attenzione per il suo potenziale economico e strategico.
Secondo quanto riportato dal New York Times, la società Montana Resources, attualmente operativa nell’area, ha implementato un processo chiamato cementazione, in grado di estrarre metalli preziosi direttamente dall’acqua contaminata. Utilizzando rottami di ferro, il rame disciolto nell’acqua viene convertito in metallo solido attraverso una reazione chimica efficiente e relativamente pulita.
Terre rare nelle acque reflue
Le terre rare (Rare Earth Elements, REEs) sono fondamentali per la produzione di tecnologie avanzate: dai veicoli elettrici ai dispositivi medici, fino ai sistemi di difesa come satelliti e missili. Un solo jet F-35, ad esempio, contiene circa 400 kg di terre rare. L’idea rivoluzionaria è che le acque reflue – comprese quelle di miniere dismesse – possano contenere enormi quantità di questi elementi. “L’acqua è il giacimento del XXI secolo”, ha affermato Peter S. Fiske, direttore del National Alliance for Water Innovation presso il Lawrence Berkeley National Lab. Oggi, grazie a tecnologie emergenti, gli scienziati sono in grado di “frugare nelle discariche liquide” alla ricerca di risorse di altissimo valore.
Studi paralleli in altre università, come Indiana University e l’Università del Texas ad Austin, stanno esplorando metodi innovativi per separare le terre rare da scarti industriali, come la cenere volante derivata dal carbone. I nuovi approcci risultano più veloci, economici e sostenibili rispetto alle miniere tradizionali.
Neodimio e praseodimio: la ricchezza nascosta della Berkeley Pit
Tra gli elementi più ambiti presenti nella Berkeley Pit spiccano neodimio e praseodimio, indispensabili per la produzione di magneti ad alte prestazioni utilizzati in motori elettrici, turbine e tecnologie militari. In un contesto geopolitico in cui la Cina domina oltre l’80% della produzione globale di terre rare, gli Stati Uniti sono sempre più interessati a fonti interne alternative. Come ha dichiarato Mark Thompson, vicepresidente dell’area ambientale di Montana Resources: “stiamo trasformando una gigantesca responsabilità ambientale in una risorsa utile alla difesa nazionale”.
Un’alternativa pulita e sostenibile
L’estrazione convenzionale di terre rare è notoriamente distruttiva per l’ambiente, comportando enormi scavi e l’impiego di sostanze tossiche. Al contrario, il metodo sviluppato per la Berkeley Pit, così come quelli in fase di studio in altri istituti, promettono un approccio molto più rispettoso dell’ambiente. Paul Ziemkiewicz, direttore del Water Research Institute presso la West Virginia University, ha messo a punto un sistema per filtrare le terre rare dai fanghi derivati dal drenaggio acido delle miniere. “Una delle cose positive del drenaggio acido è che i concentrati che otteniamo sono particolarmente ricchi di terre rare pesanti”, ha spiegato.
Nel dettaglio, la Berkeley Pit potrebbe produrre fino a 40 tonnellate di terre rare l’anno, diventando una delle maggiori fonti domestiche di questi materiali critici per la transizione energetica e la sicurezza nazionale. Un nuovo capitolo per la Berkeley Pit sta quindi prendendo forma: da simbolo di inquinamento irreversibile a pioniera dell’estrazione sostenibile del futuro.