C’è chi viaggia per staccare dalla routine, chi per scoprire culture lontane, chi per spirito d’avventura. E poi c’è chi lo fa per ricerca scientifica: come il geologo Nicola Mari (Università della Calabria) che, grazie ad un grosso finanziamento ottenuto dalla Commissione Europea, parte da solo per il giro del mondo con una missione scientifica (in collaborazione con la NASA e l’INAF): capire se su Venere ci sia stata – o possa ancora esserci – acqua, l’ingrediente essenziale per la vita. Questo è stato l’obiettivo di un’esplorazione senza precedenti, un progetto ambizioso che ha fuso geologia planetaria, antropologia e un pizzico di follia.
Tutto è iniziato con un volo verso l’Estremo Oriente: Vietnam, Filippine, Indonesia. Non solo osservazioni di vulcani come il Taal e il Tangkuban Parahu, ma immersioni totali in paesaggi, culture e sapori locali: grappa di serpente, carne di coccodrillo, foreste tropicali e fiumi navigati in canoa. Un crescendo di esperienze che avrebbero portato l’autore verso il cuore pulsante del Pacifico, dove la Terra e il mito si incontrano.

Le lave che raccontano storie
Nel cuore dell’Oceania, la rotta ha incluso luoghi simbolici come la Nuova Zelanda, l’Australia, le Isole Salomone, Vanuatu e le Fiji. È proprio in quest’ultimo arcipelago che il progetto ha toccato un punto cruciale: raccogliere campioni di lava sottomarina nei pressi di Rakiraki, in collaborazione con la University of the South Pacific. Le condizioni erano tutto fuorché convenzionali: per ottenere il permesso di attraversare territori tribali e accedere alla costa, si è reso necessario partecipare alla Cerimonia Kava, un antico rituale fijiano con proprietà psicotrope.

Nonostante gli effetti allucinogeni della bevanda, le lave sono state campionate. Perché sono importanti? Perché la pressione estrema sul fondo degli oceani terrestri è comparabile a quella sulla superficie venusiana. Analizzando quanta acqua queste lave possono trattenere, si può ipotizzare se un giorno anche quelle di Venere abbiano custodito il prezioso liquido. Una domanda che può cambiare la nostra comprensione della geologia planetaria e della possibilità di vita altrove.

Le storie nascoste nella roccia… e nei canti
Ma l’esplorazione non è stata solo scientifica. Parallelamente, è partita una seconda missione: la geomitologia. Attraverso biblioteche locali, danze hula e racconti orali, sono stati raccolti indizi di antiche eruzioni e tsunami tramandati nei canti delle isole. In assenza di scrittura storica, la memoria vulcanica della Polinesia sopravvive nei miti. Un approccio che unisce geologia e antropologia, e che ha permesso di scoprire tracce di vulcani mai documentati.

L’isola di Savaiʻi, nelle Samoa, è stata una rivelazione: campi di lava, rovine cristallizzate nel basalto, tunnel sommersi, blowholes e – soprattutto – la profondissima connessione umana con la popolazione locale. È qui che Nicola ha potuto finalmente mettere in pratica il samoano, lingua studiata per anni, vivendo una sorta di rinascita spirituale in un’isola che sembrava appartenere ai sogni.

Da Cast Away a Marte
Il viaggio ha toccato anche l’isola dove fu girato Cast Away, e si è concluso alle Hawaii, con un evento memorabile: l’eruzione del Kīlauea, che ha trasformato la notte in giorno. Non solo osservazione, ma anche esperimenti di laboratorio all’Università delle Hawai’i: campioni di lava, fusi e ricristallizzati in laboratorio, sono stati sottoposti a condizioni atmosferiche simili a quelle di Venere, per comprendere la formazione di minerali su Venere.

Durante due seminari – uno alle Hawaii e uno alle Fiji – è stato possibile condividere questi risultati con studenti di culture lontanissime, dimostrando che la scienza è un linguaggio universale.
Un viaggio nello spirito
Ma forse l’aspetto più profondo di questo viaggio è stato il cambiamento interiore. Dai tunnel vietnamiti alle foreste di Vanuatu, dalle cerimonie tribali ai cieli stellati del Pacifico, ogni luogo ha lasciato un segno. Alcuni momenti – come lo snorkeling tra mangrovie, un relitto giapponese sommerso o l’ospitalità samoana – non sono raccontabili a parole. Sono esperienze che trasformano lo spirito, e che ci ricordano che la vera esplorazione non è solo geografica, ma umana.
Un viaggio come questo non è per tutti. Richiede anni di preparazione, conoscenze interdisciplinari, adattamento. Ma il premio non è una foto da copertina o un trofeo scientifico. È qualcosa di molto più raro.
Una nuova prospettiva sul mondo. E su noi stessi.

