La Cina non ha ancora dato il via all’estrazione mineraria in acque profonde, ma sta rapidamente consolidando la sua presenza nei fondali oceanici, puntando su una combinazione di diplomazia, tecnologia e visione geopolitica. I fondali marini internazionali custodiscono grandi riserve di cobalto, nichel e rame, risorse cruciali per la transizione energetica globale, in particolare per le batterie dei veicoli elettrici.
Pechino ha firmato accordi chiave, come quello con le Isole Cook, e mantiene relazioni strategiche nel Pacifico. Detiene inoltre cinque contratti di esplorazione con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), una porzione significativa del totale mondiale, coprendo tutte le principali tipologie di risorse. La spinta non è solo economica: la Cina intende usare l’estrazione sottomarina anche come leva diplomatica, rafforzando la propria influenza globale.
Dal punto di vista tecnologico, la Cina registra progressi concreti. Il test a oltre 4mila metri del prototipo “Pioneer II” e le prove previste per il 2025 mostrano ambizione e pianificazione, anche se resta indietro rispetto ad aziende come la canadese TMC, che ha già presentato la prima richiesta operativa internazionale.
Pur non avendo ancora un bisogno urgente di ricorrere a queste risorse, la Cina vuole mantenere aperta la porta all’estrazione. Nel farlo, insiste sul rispetto del diritto internazionale, accusando gli Stati Uniti di scorciatoie giuridiche. La vera partita, per Pechino, è posizionarsi come attore guida, in attesa del momento giusto per entrare in gioco.