Campi Flegrei territorio fragile, che potrebbe franare sotto i colpi di nuovi terremoti. Il Dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale della Federico II di Napoli chiede di aumentare il livello di attenzione sulla costa colpita dai fenomeni del bradisismo. Il terremoto di magnitudo 4.6 che ha colpito l’area flegrea lo scorso 30 giugno, provocando il crollo di una porzione di costone roccioso sull’isolotto di Punta Pennata a Pozzuoli, ha acceso i riflettori sulla fragilità del territorio e sulla necessità di un’attenta valutazione del rischio da frana nell’area flegrea. Come dichiara Luca Pagano, docente di Geotecnica delle infrastrutture del Dicea della Federico II, “lo scuotimento sismico ha innescato fenomeni di instabilità in falesie costiere di tufo ubicate non distanti dalla zona epicentrale, richiamando l’attenzione sulla vulnerabilità sismica di tali formazioni connessa a pregresse condizioni di stabilità già precarie”.
Le formazioni coinvolte, tipiche dell’area napoletana, presentano una genesi e una matrice porosa, con legami coesivi deboli, che determinano una propensione allo sviluppo di discontinuità. Pagano spiega come la fragilità intrinseca derivi proprio dalle discontinuità presenti all’interno del tufo e come queste possano aver avuto origine da molteplici cause: sovrapposizioni stratigrafiche di prodotti eruttivi successivi, processi di raffreddamento- contrazione differenziale post-eruttivi, azioni esogene di tipo fisico (vento, escursione termica, piogge) o biologico (radici vegetali), e infine effetto dell’azione marina.
Proprio l’erosione da moto ondoso esercita spesso un ruolo chiave nella destabilizzazione dei fronti a contatto con il mare: essa consiste in uno scalzamento progressivo alla base della falesia che origina un aggetto progressivamente sempre più instabile. L’ammasso roccioso a ridosso del fronte si ritrova così con superfici verticali fortemente sollecitate, tanto più quanto maggiore è la profondità dello sbalzo.
Il crollo a Punta Pennata è verosimilmente riconducibile al cedimento di un tratto di falesia già predisposto all’instabilità da questi meccanismi erosivi, e spinto oltre il limite di resistenza dal recente scuotimento sismico. Altri episodi, come i distacchi di blocchi tufacei osservati alla base del Castello Aragonese di Baia, confermano lo stato di degrado diffuso, che rende vulnerabile tali sistemi anche ad azioni sismiche non eccezionali. La vegetazione stessa, seppur apparentemente innocua, contribuisce ad aggravare la vulnerabilità delle falesie: le radici penetrano nelle fessure della roccia, favorendone l’apertura e aggravando l’indebolimento strutturale dell’ammasso.
“Questi fenomeni – ribadisce Pagano – impongono una riflessione urgente sul rischio da frana nell’area flegrea, non solo in un’ottica di protezione civile, ma anche per la tutela del patrimonio naturale e culturale”. È fondamentale avviare studi approfonditi e interventi mirati per la messa in sicurezza dei versanti e la prevenzione di futuri crolli, salvaguardando sia la sicurezza dei cittadini che la bellezza paesaggistica di un’area di inestimabile valore.