La perdita di abitabilità superficiale su Marte è stata a lungo un enigma per la comunità scientifica. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Nature fornisce una nuova interpretazione fondata su osservazioni dirette e modelli climatici avanzati: il Pianeta Rosso potrebbe aver regolato la propria transizione da mondo potenzialmente abitabile a deserto inospitale attraverso un ciclo di feedback negativo tra luce solare, presenza di acqua liquida e formazione di carbonati. Grazie ai dati raccolti dai rover della NASA Curiosity e Perseverance, i ricercatori hanno identificato concentrazioni significative di carbonati in strati sedimentari nel cratere Gale e lungo il bordo del cratere Jezero. I carbonati, che si formano in presenza di acqua liquida e CO₂ atmosferica, rappresentano un possibile “pozzo mancante” per l’anidride carbonica marziana, il cui destino era fino ad ora poco chiaro.
Il modello proposto nello studio integra la variabilità orbitale caotica di Marte, l’evoluzione della luminosità solare e la formazione di carbonati. Quando la luce solare aumentava (per effetto del progressivo “brightening” solare), le condizioni diventavano favorevoli alla fusione stagionale della neve, generando acqua liquida. Questa, reagendo con l’atmosfera, formava carbonati e sottraeva CO₂, riducendo l’effetto serra e quindi limitando ulteriori episodi di acqua liquida. Un meccanismo autoregolante simile ha mantenuto Marte marginalmente abitabile, ma sempre più secco, per oltre un miliardo di anni.
Le “oasi marziane” e il mosaico geologico post-3,5 miliardi di anni
Secondo i dati stratigrafici raccolti su Monte Sharp (Aeolis Mons), la presenza di acqua liquida non fu continua ma intermittente, concentrata in “oasi” equatoriali di bassa quota, in sintonia con i picchi d’inclinazione assiale di Marte. L’accumulo di sedimenti in queste zone suggerisce che la formazione delle rocce sedimentarie — e dei carbonati al loro interno — sia stata strettamente legata ai cicli climatici favorevoli. La formazione dei carbonati, quindi, non solo documenta l’antico clima di Marte, ma ne avrebbe attivamente condizionato l’evoluzione.
Il ruolo secondario del vulcanismo e della fuga atmosferica
Contrariamente a quanto ipotizzato in passato, lo studio mostra che né il vulcanismo post-3,5 Ga né la sola fuga atmosferica nello spazio spiegano efficacemente la progressiva rarefazione dell’atmosfera marziana. I tassi osservati di formazione dei carbonati sono sufficienti, nel lungo termine, a spiegare l’abbassamento della pressione atmosferica fino a valori prossimi al punto triplo dell’acqua, soglia critica oltre la quale l’acqua liquida non può più essere stabile sulla superficie.
Gale come laboratorio climatico naturale
Il cratere Gale risulta essere uno dei luoghi più favorevoli alla formazione e conservazione dei carbonati: è equatoriale, di bassa altitudine e mostra una delle stratigrafie sedimentarie più spesse conosciute su Marte. Ogni fase di maggiore umidità prevista dal modello si riflette nei sedimenti esaminati dal rover Curiosity, rafforzando l’ipotesi che questi depositi siano rappresentativi della storia climatica globale marziana.
Limiti del modello e prospettive future
Il modello, pur sofisticato, presenta alcune limitazioni. Non considera, ad esempio, il trasporto orizzontale di calore atmosferico e assume una topografia moderna, che potrebbe differire da quella antica. Inoltre, l’origine precisa dell’acqua (sorgente profonda o fusione stagionale della neve) resta incerta. Tuttavia, il quadro generale è coerente con le osservazioni geologiche e climatiche disponibili. Per verificare completamente l’ipotesi proposta, saranno necessarie ulteriori analisi isotopiche, perforazioni ad alta quota su Monte Sharp e missioni in altre regioni chiave, come Valles Marineris. Se confermata, questa teoria non solo risolverebbe il mistero del destino dell’atmosfera marziana, ma aprirebbe anche nuovi scenari sull’evoluzione dell’abitabilità planetaria.