Dopo mesi di siccità, a Teheran è finalmente arrivata la pioggia. Una parentesi attesa in un autunno che i meteorologi iraniani definiscono il più secco degli ultimi 50 anni, ben prima della rivoluzione del 1979. La situazione è così grave che il presidente ha avvertito: senza precipitazioni significative entro dicembre, potrebbe rendersi necessario trasferire temporaneamente il governo fuori dalla capitale per evitare il collasso del sistema idrico. In una città da 10 milioni di abitanti, i rubinetti restano spesso a secco per ore. I bacini che alimentano Teheran sono ridotti ai minimi storici: le immagini satellitari analizzate da Associated Press mostrano invasi quasi prosciugati, come la diga di Latyan, oggi al di sotto del 10% della capacità. Anche il manto nevoso dell’Alborz, fondamentale per ricaricare le riserve idriche, è drammaticamente scarso dopo un’estate che ha sfiorato i 50 gradi, costringendo gli uffici pubblici alla chiusura.
La scorsa settimana, Ahad Vazifeh dell’Organizzazione meteorologica ha parlato di una siccità “senza precedenti“: le piogge attuali rappresentano appena il 5% della media stagionale, e anche con precipitazioni normali in inverno e primavera il deficit resterebbe del 20%. La crisi è diventata anche un tema politico, alimentato dalle offerte di aiuto del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il Tehran Times ha definito l’emergenza idrica una minaccia non solo per l’agricoltura – che consuma il 90% delle risorse idriche del Paese – ma per la stabilità regionale e i mercati alimentari globali. Intanto, in molte moschee si prega per la pioggia, mentre l’Iran entra nel 6° anno consecutivo di siccità.


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