Negli ultimi anni una domanda torna spesso tra appassionati e addetti ai lavori: perché le grandi nebbie invernali, così frequenti tra gli anni Sessanta e Ottanta, oggi sembrano quasi scomparse? La risposta non è legata a un solo fattore, ma a una combinazione di cambiamenti climatici, trasformazioni ambientali e mutazioni nei regimi atmosferici su scala emisferica. Il caso della Val Padana è l’esempio più emblematico. Nel trentennio 1960-1990 le nebbie radiative invernali erano un elemento strutturale del clima padano. Lunghi periodi di alta pressione fredda, suoli saturi d’umidità e notti serene favorivano inversioni termiche robuste e persistenti, creando uno strato d’aria fredda umida ideale per la formazione di nebbie compatte e durature. Oggi, le analisi mostrano un calo netto sia nella frequenza sia nella durata degli episodi, con riduzioni che in alcune aree raggiungono anche il 40-50% rispetto al passato.
Il peso dei cambiamenti locali: città più calde, aria più “pulita”
Una parte decisiva di questa trasformazione è legata a fattori locali. L’aria di oggi contiene meno inquinanti igroscopici rispetto agli anni Settanta e Ottanta: questo significa meno nuclei di condensazione su cui il vapore acqueo può aggregarsi. Parallelamente, le città si sono espanse, il suolo è diventato più impermeabile e il contributo dell’isola di calore urbana è cresciuto in modo significativo. Le temperature minime sono aumentate, riducendo la capacità del suolo di raffreddarsi rapidamente per irraggiamento notturno. In molte situazioni, la soglia di saturazione semplicemente non viene più raggiunta.
Anche l’alta pressione è cambiata
Un altro aspetto chiave riguarda l’evoluzione dei regimi anticiclonici. In passato, molte delle lunghe fasi stabili invernali erano legate a strutture fredde continentali, spesso riconducibili al cosiddetto Anticiclone Russo-Siberiano. Queste configurazioni garantivano aria molto fredda e secca nei bassi strati, creando il classico “cuscino gelido” che in Pianura Padana alimentava nebbie estese e persistenti. Oggi, invece, le alte pressioni che dominano l’Europa sono più spesso di origine subtropicale, quindi miti, asciutte e meno favorevoli alle inversioni profonde. Anche quando l’aria fredda continentale riesce ad affacciarsi sull’Italia, tende a essere meno intensa e di breve durata, su un fondo climatico ormai più caldo.
Un nuovo equilibrio climatico nelle pianure
Il risultato è un cuscinetto freddo più sottile, discontinuo e frammentato, spezzato dalle isole di calore e da terreni meno freddi e meno umidi. Le nebbie continuano a formarsi, ma sono più localizzate, meno compatte e meno durature, spesso limitate alle zone rurali o alle valli meno urbanizzate.
Un segnale chiaro del cambiamento in atto
Il declino delle grandi nebbie padane non è soltanto una curiosità meteorologica: è un indicatore concreto della trasformazione del clima e del territorio. Racconta come l’interazione tra riscaldamento globale, urbanizzazione e nuovi assetti atmosferici stia riscrivendo le regole degli inverni italiani. E spiega perché, anche sotto un’alta pressione apparentemente “perfetta”, oggi il paesaggio grigio e silenzioso delle nebbie di una volta sia diventato sempre più raro.


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