Il nucleare sta vivendo una nuova stagione di attenzione a livello mondiale. Dopo anni segnati da dubbi e disinvestimenti, oggi il settore torna al centro delle strategie energetiche di molti Paesi industrializzati. A confermarlo è il dossier presentato dall’Associazione italiana nucleare (AIN), che offre una fotografia aggiornata del panorama atomico internazionale e del suo peso nei processi di transizione energetica. Secondo il rapporto, nel mondo sono attivi 420 reattori nucleari, mentre oltre 60 nuovi impianti sono attualmente in costruzione. Un’espansione accompagnata da un aumento significativo degli impegni finanziari: negli ultimi cinque anni gli investimenti globali nel nucleare sono cresciuti del 40%, segnale di un rinnovato interesse strategico nei confronti di una tecnologia ritenuta sempre più essenziale per la sicurezza energetica e la decarbonizzazione.
Accanto ai grandi impianti tradizionali, si fanno strada le nuove tecnologie modulari, considerate uno dei filoni più promettenti dell’innovazione energetica. Sono 80 i progetti di Small Modular Reactors (SMR) attivi in 19 Paesi, alcuni già operativi o prossimi al collegamento con la rete. Questi reattori di dimensioni ridotte promettono maggiore flessibilità, tempi di realizzazione più brevi e un’integrazione più agevole con le reti elettriche moderne.
In Europa, il contributo dell’energia atomica è già determinante: il nucleare assicura un quarto della produzione elettrica del continente e rappresenta circa il 40% dell’energia decarbonizzata generata all’interno dell’Unione. Dal punto di vista ambientale, i dati del dossier sono eloquenti: sull’intero ciclo di vita, un impianto nucleare produce appena 12 grammi di CO₂ per kWh, valori paragonabili all’eolico, e richiede una superficie estremamente contenuta – solo 0,4 km² per TWh – molto meno delle tecnologie rinnovabili non programmabili.
Un ulteriore elemento strategico riguarda la filiera industriale. Il nucleare è oggi l’unica tecnologia low-carbon a disporre di una supply chain per il 90% interna all’Unione Europea. Al contrario, circa il 90% dei materiali critici necessari per le rinnovabili proviene dalla Cina. Questa caratteristica offre al nucleare un valore aggiunto in termini di autonomia strategica e sviluppo economico: secondo Ain, ogni euro investito genera 2,4 euro di indotto tra industria, ricerca e professionalità qualificate.
La domanda crescente di elettricità, trainata dall’espansione dei data center e delle applicazioni di intelligenza artificiale, potrebbe portare i consumi europei a crescere di oltre 160% entro il 2030, mettendo sotto forte pressione le reti. In questo scenario, la necessità di una capacità produttiva programmabile, affidabile e a basse emissioni diventa sempre più urgente – e il nucleare si propone come una delle risposte possibili.
Infine, il dossier sottolinea anche l’impatto occupazionale della filiera. Per rispettare gli obiettivi del Pniec 2050, l’Italia avrebbe bisogno di 117.000 nuove figure professionali, tra tecnici, ingegneri e specialisti di sistema: un fabbisogno che evidenzia il potenziale del settore come motore di competenze avanzate e sviluppo industriale.
In un momento in cui l’Europa cerca di conciliare autonomia energetica, riduzione delle emissioni e competitività industriale, il nucleare sembra dunque tornare in primo piano, non come alternativa alle rinnovabili, ma come uno dei pilastri di un mix energetico più solido e sostenibile.


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