Salute: in Italia 350 mila studenti con disturbi dell’apprendimento

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Sbagliano a leggere, a scrivere, a fare i calcoli ma spesso sono anche distratti, non ascoltano, non parlano, non socializzano. “È l’esercito dei quasi 350 mila studenti, oltre il 3% circa della popolazione scolastica, che hanno un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa)”. E’ la fotografia scattata dagli esperti riuniti a Milano per il convegno ‘Strategie educative per i Diversi Stili di Apprendimento’, organizzato dall’associazione ‘Il Laribinto, Progetti Dislessia Onlus’, in collaborazione con Canalescuola, Rotary Mi-Monforte e Fida (Federazione italiana dislessia apprendimento).

“Dei 350 mila alunni con un Dsa, il 4,5% è nelle regioni del Nord Ovest (Lombardia compresa dove i ragazzi con dislessia, disgrafia, discalculia o disortografia sono almeno 100 mila, concentrati soprattutto nelle scuole superiori di I grado). Si raggiungono picchi fino al 15% negli istituti tecnici e professionali (almeno il 7% in Lombardia)”, si legge in una nota.

“Isolati e ‘etichettati’ per la loro diversità, il male peggiore che possa capitare a un bambino o a un ragazzo, mentre non è così: sono giovani normalissimi, il cui ‘disturbo’ che in passato era spesso archiviato con una bocciatura o con la fine della carriera scolastica, oggi può essere individuato, soprattutto con l’impegno della scuola, e sconfitto, permettendo a bambini e ragazzi di completare gli studi e affrontare la vita senza alcun problema”.

“Il modo migliore per tutelare i ragazzi con disturbi specifici di apprendimento quali dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia – spiega Maria Dimita, presidente e fondatrice de ‘Il Laribinto Onlus’ e Fida, la Federazione italiana dislessia apprendimento – è sviluppare le loro potenzialità attraverso la creazione e il supporto di nuovi stili e modalità di apprendimento, più visive che scritturali, e tecniche specifiche alla problematica in atto.

Metodologie, supportate anche dall’utilizzo di device elettronici che per questi ragazzi possono diventare un efficace ed efficiente strumento per favorire la comprensione e apprendimento della lezione e occasione per il resto della classe di raggiungere l’eccellenza. Una realtà – ha aggiunto Dimita – invece ancora molto lontana dall’attuale impostazione scolastica in cui questi ragazzi sono spesso ‘esclusi’ dai normali percorsi scolatici, ritenuti dagli insegnanti bisognosi di supporti e di una attenzione specifica che non hanno il tempo o il passo di tenere”.

“Nostro obiettivo è invece spingere da un lato la scuola a una didattica di inclusione innovativa e interattiva che motivi il ragazzo con disturbi specifici di apprendimento (Dsa) allo studio, riducendo così il tasso di abbandono scolastico e le implicazioni associate – suggerisce Dimita – Dall’altro modificare l’attuale acronimo Dsa, in ‘Diversi stili di apprendimento’ evitando che il termine disturbi marchi e indentifichi i ragazzi con Dsa come malati. Quando in realtà non lo sono, presentando al pari dei compagni, molteplici talenti e qualità intellettive”.

“Parliamo di bambini intelligenti – osserva Tiziana Rossetto, logopedista e presidente della Federazione logopedisti italiani – in grado di partecipare attivamente alla vita di classe con misure compensative e funzionali al disturbo, che vanno individuati e trattati entro il secondo anno della scuola primaria. Il logopedista agisce fin dai prerequisiti, ovvero i processi cognitivo-linguistici che precedono le abilità di lettura e scrittura, con particolare attenzione per i bambini a rischio per un pregresso disturbo specifico di linguaggio. In caso di dislessia, la ricerca degli ultimi decenni ha evidenziato la multicomponenzialità dei fattori che determinano i Dda e la eterogeneità dei profili di funzionamento di queste persone, fra cui la ricaduta di pregresse disabilità linguistiche sulle capacità di acquisizione del codice scritto, testuale e numerico. Il logopedista all’interno del team multiprofessionale, in questi contesti, ha un ruolo strategico”.

I ragazzi con Dsa popolano le scuole di ogni ordine e grado, in misura maggiore Istituti tecnici e professionali, con punte del 15%, contro numeri sensibilmente più bassi di licei o altri percorsi di studi. “Giovani – aggiunge Dimita – avviati a studi tecnici da insegnanti delle scuole medie, ritenendoli più semplici e operativi rispetto a licei umanistici e/o scientifici dove invece si registra comunque una percentuale simile di alunni che vanno male a scuola, a dimostrazione che i ragazzi, con o senza Dsa, hanno le stesse difficoltà di apprendimento e le medesime potenzialità. Dunque, a nessun alunno va ‘esclusa’ la possibilità di intraprendere una carriera scolastica e professionale di successo, fino alla laurea”.

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