Uragani: cosa sono, come si formano, come si misurano e quali sono i record

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L’emergenza per l’uragano Irene è finita, per fortuna senza gravissime conseguenze soprattutto su New York, dove c’era stata una grande allerta. Ma negli Usa ci sono stati 20 morti e grasvissimi danni. Adesso la tempesta è sul Canada, e nei prossimi giorni si sposterà verso Groenlandia e poi Islanda, nel nord/ovest dell’Europa.
Ma che cos’è un uragano? Come viene misurato? E quali sono i valori da record?
Possiamo approfittare dello spunto datoci da Irene, per illustrare i dettagli di questi fenomeni così violenti e affascinanti, ma per molti versi sconosciuti soprattutto all’opinione pubblica che li confonde con i tornado o altri eventi meteo estremi.

Innanzitutto va detto che un uragano è un ciclone tropicale. Il termine “uragano” si usa per definire i cicloni tropicali che colpiscono l’oceano Atlantico, termine che si equivale a “tifone” che però viene usato per l’oceano Pacifico.

I cicloni tropicali sono dei grandi sistemi temporaleschi caratterizzati da un centro di bassa pressione molto esteso, circondato da temporali che causano piogge torrenziali e forti venti. Sono cicloni stagionali, che si generano a causa del calore sprigionato dall’acqua calda degli oceani intorno all’equatore, che rendel ‘aria umida, la fa evaporare provocando la condensazione del vapore acqueo. Nel frattempo, le correnti d’aria circostanti cominciano a ruotare in senso antiorario (in quello orario nell’emisfero meridionale) a causa della rotazione terrestre, trascinando con se’ le nuvole della perturbazione. Quando i venti circolari della perturbazione si stabilizzano raggiungendo i 100 chilometri all’ora, un nuovo uragano e’ nato. L’unica zona tranquilla di un uragano e’ il suo centro, ma le pareti dell’ ”occhio del ciclone” sono di solito il punto in cui i venti soffiano con piu’ violenza. Man mano che sale a nord, l’uragano dissipa la sua energia. Giunto sulla terraferma, a causa della frizione dei venti con il suolo, l’uragano comincia a indebolirsi in modo consistente e poi si disintegra, a meno che non venga rialimentato dal calore e dall’umidita’ del mare.
I cicloni tropicali non hanno nulla a che vedere con le classiche perturbazioni di ogni area del mondo, perchè hanno un sistema “esclusivo” di alimentazione del calore. Si formano in quella zona precisa, e non altrove, dei due oceani. La stagione, nell’oceano Atlantico, va generalmente da giugno a novembre e viene attentamente monitorata dai satelliti. Gli uragani, cosi’ chiamati nel mondo anglosassone, hanno nomi diversi in altre parti del mondo: ”willi willy” in Australia, ”baguio” nelle Filippine, ”ciclone” in India, ”tifone” nell’area del Pacifico.

La parola “uragano”, a livello etimologico, deriva dal nome di un dio della tempesta degli Amerindi dei Caraibi, Huracan, da cui proviene lo spagnolo huracán.

I cicloni tropicali si misurano con la scala Saffir-Simpson messa a punto dall’ingegnere Herb Saffir e dal metereologo Bob Simpson nel 1969. E’ un sistema di misurazione che si basa sulla velocità continua del vento rilevata a 10 metri di altezza ed è divisa in due parti, con due categorie iniziali riservate alle tempeste (da 0 a 62 km/h e da 63 a 120 km/h), seguite da altre cinque per gli uragani, l’ultima delle quali, definita ‘catastrofica’, con venti che superano i 250km/h e abbastanza rara. La scala non tiene in conto effetti collaterali come rovesci d’acqua e inondazioni. Anche i tornado o trombe d’aria, che possono scaturire anche dalle perturbazioni provocate dagli uragani oltre che dai ‘normali’ temporali, hanno una scala di intensita’ di cinque gradi, la scala Fujita, che prende il nome dal professore dell’Universita’ di Chicago che l’ha ideata nel 1971, e che va da ‘debole’ (64116 km/h) a ‘incredibile’ (420512 km/h). Nei tornado, infatti, ci possono essere venti molto più forti che negli uragani.
Contrariamente ai tornado, che si formano all’improvviso e non permettono di allestire difese, l’uragano ha una origine lenta e i suoi spostamenti possono essere seguiti e anticipati.

Anche gli uragani, come ogni fenomeno meteorologico, hanno i loro record.
I venti più forti generati da un ciclone tropicale, ad esempio, sono stati misurasti il 12 settembre 1961 nell’oceano Pacifico, intorno al tifone Nancy, con raffiche a 346km/h.
Le onde più alte mai provocate da un ciclone tropicale, invece, furono quelle del 3 maggio 1899 in Australia, dove il ciclone Mahina determinò mareggiate con onde alte fino a 13 metri!

Il punto di pressione più bassa di un uragano fu quello che raggiunse il tifone Tip il 12 ottobre 1979 nell’oceano Pacifico: ben 870 millibàr! Sempre Tip è stato il ciclone più esteso, con venti tempestosi che soffiarono fino a 1.100 km dall’occhio del ciclone.
Il più rapido approfondimento di un ciclone tropicale fu quello che si verificò tra il 22 e il 23 settembre del 1983 sempre nel Pacifico, dove il tifone Forrest passò in sole 24 ore da 976 a 876mllibàr, compiendo un balzo di ben 100 millibar!
L’occhio del ciclone più vasto è stato quello dell’uragano Kerry che nel 1979 raggiunse i 93,3 chilometri.

L’uragano che percorse la più lunga distanza fu Ophelia che dal 28 novembre all’8 dicembre del 1960 “camminò” nell’Atlantico per ben 13.500km.
Il tifone John, invece, è stato il più lungo: ben 31 giorni di attività, dal 10 agosto al 10 settembre 1994.

Un pò tutti record che appartengono al grande passato. Un dato inequivocabile rispetto ai “profeti di sventura” che provano ogni anno a dipingere i fenomeni meteo estremi in grande aumento come elemento di prova dei cambiamenti climatici.

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