Archeologia: scoperti ad Arles, gli affreschi di una residenza romana

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Gli scavi archeologici in corso ad Arles, l’antica Arelate in Provenza, hanno portato alla luce una straordinaria documentazione d’intonaci romani dipinti, tra cui un affresco che rimanda agli esempi di Pompei. La riva destra del Rodano, a circa trecento metri dal fiume, nel quartiere di Trinquetaille, presso ‘La Verrerie‘, un’area attualmente di proprietà comunale, era già stata oggetto di scavi negli scorsi anni Ottanta, che avevano consentito di rilevare i caratteri dello sviluppo urbano al tempo di Giulio Cesare. Da quegli scavi erano emersi numerosi mosaici, che sottolineavano l’importanza dell’antico settore urbano sulla destra del Rodano: in circa un ettaro di superficie erano apparse due domus, con apparati decorativi di lusso (mosaici, marmi su pavimento e a parete) realizzati alla fine del II secolo d.C.

Intorno al 260 d.C. le due domus risultano saccheggiate e distrutte da un incendio, nell’ambito della generale situazione di insicurezza in cui si trovava l’impero. Cinque dei mosaici scoperti furono strappati e, dopo il restauro, esposti al Museo Dipartimentale di Arles antica. Una delle domus con i mosaici era stata appunto realizzata nel II secolo d.C. sopra i livelli di crollo, abbandono e riempimento di una precedente dimora della tarda età romana repubblicana (oggetto degli scavi in corso). I lavori di verifica, documentazione e acquisizione di dati archeologici, ripresi nel 2014, hanno individuato ben tre fasi principali di rifacimenti, la più antica delle quali, conservata per uno spessore di circa un metro e mezzo dalle stesse strutture che la ricoprivano, ha catalizzato l’interesse degli archeologi, intenzionati a far luce sul primo abitato strutturato di Arelate. Le ricerche del 2015, come riferisce un’ampio servizio sul nuovo fascicolo della rivista “Archeologia Viva” (Giunti editore), hanno interessato la ricca domus tardo-repubblicana del I secolo a.C., della quale si conservano le parti basali dei muri per un’altezza di un metro e quaranta, con ancora grandi porzioni di affreschi.

L’articolo è firmato da Daniele Vitali, docente di archeologia classica all’Université de Bourgogne – Dijon. Migliaia di frammenti d’intonaci dipinti, accumulatisi negli strati di riempimento e di crollo, sono stati recuperati ai piedi dei muri stessi e permetteranno di completare il quadro pittorico antico integrando quanto si trova ancora in posto. Un grande lavoro attende dunque i restauratori: un numero enorme di pezzi da assemblare come le tessere di un immenso puzzle, da collocare nelle lacune e nei vuoti degli affreschi ancora in posto e per ricostruire le parti alte delle pareti crollate appunto sul pavimento. L’osservazione diretta degli specialisti, i rilievi diretti sulle pareti e l’ausilio della grafica digitale saranno essenziali per riposizionare i singoli frammenti sulle pareti, ai lati delle porte o sui soffitti. Lo stupore degli archeologi e degli storici dell’arte deriva dalla freschezza dei colori e dalla qualità delle immagini, ma anche dalla tematica degli affreschi, il cui restauro permetterà di comprendere il quadro globale dell’apparato decorativo, dove sin d’ora si intravvedono dei temi legati al mondo di Bacco/Dioniso e di Pan.

Gli ambienti dove le pitture sono meglio conservate sono due spazi di un cubiculum (stanza da letto) interpretati coma alcova e anticamera. Nell’alcova la pittura definisce uno spazio architettonico, con un podio marmorizzato alla base e pannelli che imitano lastre di marmo; nell’anticamera si osservano rappresentazioni di fusti massicci di colonne gialle. Un altro ambiente contiguo, in corso di scavo, mostra un affresco parietale colore rosso vermiglio, scandito da colonne che imitano il marmo e con gruppi diversi di personaggi nello spazio tra una colonna e l’altra. Questo affresco occupa tre pareti della stanza, interpretabile come sala d’apparato della ricca domus romana e presenta le caratteristiche del secondo stile pompeiano (che in Gallia si data tra 70 e 20 a.C.). I personaggi (circa undici, in base a quanto si può ipotizzare dai frammenti), raffigurati a metà o tre quarti del vero, presentano corpi finemente modellati e portano ricchi abiti: nel complesso la loro rappresentazione sembra il prodotto di un gruppo di pittori di grande talento, che secondo Julien Boislève, specialista di pittura romana impegnato nello scavo, sarebbero arrivati dalla nostra Penisola. Questa megalografia è per ora un unicum in Gallia.

Tuttavia, anche per l’Italia antica i casi noti di megalografie sono rari, meno di una decina. Altri documenti pittorici di secondo stile sono stati scoperti in Gallia meridionale, ma si tratta quasi sempre di rinvenimenti lacunosi, come quelli di Narbonne. Il modello con megalografia su fondo vermiglio rimanda ad esempi campani, del territorio vesuviano, come il celebre cubiculum n. 4 della Villa dei Misteri a Pompei o la villa di P. Fannio Sinistore a Boscoreale. Pregiati colori come il blu egiziano dei soffitti e il rosso vermiglio delle pareti evidenziano il lusso di questa domus di I secolo a.C., appartenuta a una delle famiglie dell’élite di Arelate.

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