Migliora la qualità di vita dei malati, con un rapporto costo-efficacia favorevole per il Servizio sanitario nazionale. Questi i vantaggi della chirurgia bariatrica per il trattamento dell’obesità grave e resistente, secondo una ricerca condotta dal Centro di studio e ricerca sulla sanità pubblica (Cesp) dell’università degli Studi di Milano-Bicocca, presentata in Regione Lombardia in occasione dell’European Obesity Day (21 maggio), promosso dal 2010 da medici, associazioni di pazienti e autorità politiche per sensibilizzare la popolazione sul problema e sostenere chi ne soffre. Solo in Italia le persone obese sono 5,5 milioni, con oltre 100 mila casi all’anno e un impatto economico annuo stimato in 9 miliardi di euro tra costi sanitari, calo di produttività, assenteismo e mortalità precoce.
L’incontro milanese è stato promosso dall’associazione di pazienti Amici obesi Onlus, con il patrocinio di Centro di studio e ricerca sull’obesità (Csro), Società italiana dell’obesità (Sio) e Società italiana di chirurgia dell’obesità (Sicob), e il contributo non condizionato di Medtronic. Per stimare i costi e gli effetti del bisturi anti-obesità è stato elaborato un modello decisionale di Markov (che permette di simulare la progressione di una malattia e le modifiche conseguenti ai trattamenti adottati), sulla base dei dati provenienti da diversi studi internazionali e nazionali, utilizzando il punto di vista del servizio sanitario italiano e 2 orizzonti temporali: lifetime (l’arco della vita del paziente), e 10 anni dall’intervento.
Nel modello adottato il paziente obeso poteva essere sottoposto a chirurgia o continuare con una gestione medica ottimale della sua condizione, senza intervento; sperimentare o meno complicazioni post-intervento; sviluppare diabete di tipo 2 o malattie cardiovascolari (angina, infarto, ictus, scompenso cardiaco e artropatia periferica), regredire dalla condizione di diabete o morire. Durante la simulazione il paziente poteva progredire in una delle condizioni citate, o rimanere in quella in cui si trovava in funzione del suo indice di massa corporea (Bmi). Nell’analisi sono state considerate 3 tecniche bariatriche: bypass gastrico, gastrectomia verticale parziale e bendaggio gastrico aggiustabile. Il modello stimava per le 2 opzioni a confronto (chirurgia o terapia medica non chirurgica) i costi medi per paziente, gli anni di vita, gli anni di vita aggiustati per la loro qualità (Qaly) e il rischio assoluto di sviluppare eventi cardiovascolari, arteriopatie periferiche e diabete.
Nello scenario lifetime, la chirurgia bariatrica ha prodotto un guadagno medio di 3,2 Qaly per paziente (oltre 3 anni di vita vissuta in condizioni di salute ottimale) e una riduzione della spesa pari a 11.384 euro a paziente, risultando l’opzione più efficace e meno costosa rispetto all’approccio non chirurgico. Nell’analisi condotta con orizzonte temporale a 10 anni, il guadagno medio in termini di Qaly è stato di 1,1 per paziente, mentre la spesa a paziente è risultata aumentata di 1.862. “In ogni caso – spiegano gli autori – la chirurgia bariatrica è risultata essere l’opzione costo-efficace perché l’Icer ricavato“, ossia il parametro amministrativo che esprime il rapporto incrementale di costo-efficacia di una misura di assistenza sanitaria rispetto a un’altra, “era di 1.681 euro per Qaly: al di sotto della soglia di 50 mila prevista in Italia per tutti i tipi di intervento in sanità“.
“Dalla valutazione condotta – riassumono gli esperti – i risultati hanno mostrato un’elevata costo-efficacia della chirurgia bariatrica in confronto a un approccio non chirurgico“. Nello scenario lifetime il bisturi “ha mostrato un profilo di efficacia maggiore e un costo medio inferiore grazie all’impatto su eventi cardiovascolari, diabete e mortalità associabili alla riduzione di Bmi“. E “anche considerando un orizzonte temporale più corto, pari a 10 anni, la chirurgia è risultata l’opzione preferibile dal punto di vista del rapporto di costo-efficacia“.
“La chirurgia bariatrica – afferma Luciana Scalone del Cesp-Bicocca – offre un’opzione di trattamento efficace contro l’obesità quando gli approcci conservativi falliscono. Comprenderne l’impatto economico e clinico è di fondamentale importanza per i medici e i decisori sanitari, al fine di poter scegliere in maniera consapevole l’opzione di trattamento complessivamente più efficiente (più efficace per i pazienti e meno costosa), o comunque economicamente sostenibile per il sistema sanitario, almeno nel breve o medio periodo“.
“La grande obesità – evidenzia Marco Antonio Zappa, vice presidente Sicob – rappresenta una grave condizione patologica e un importante fattore di rischio per diabete, malattie cardiovascolari, malattie muscoloscheletriche e tumori“, nonché “un costo sociale e sanitario tra i più elevati. Attualmente – aggiunge – in Italia la terapia chirurgica della grande obesità risulta essere ai vertici europei e mondiali in termini di risultati a breve e a lunga distanza, sia per calo ponderale che per guarigione delle comorbilità“.
I dati nazionali dell’obesità “sono allarmanti“, avverte Michele Carruba, direttore del Csro: “57 mila morti all’anno per cause attribuibili” a questa condizione, pari a “mille a settimana, 150 al giorno, uno ogni 10 minuti – calcola il nutrizionista e farmacologo – E il costo annuo dell’obesità arriverebbe addirittura a più di 22 miliardi di euro se si calcolassero anche i costi complessivi delle patologie correlate“. Occhio dunque al Bmi (il rapporto tra peso e altezza al quadrato, che se supera i 25 kg/m2 è indice di sovrappeso mentre se pari o superiore a 30 di obesità), ma anche al girovita. “Negli ultimi anni – ricorda infatti Carruba – alla misura del Bmi è stata affiancata la misura della circonferenza vita che meglio descrive il rapporto tra l’obesità viscerale e il rischio di morbilità e mortalità: si considerano obesi gli uomini con girovita uguale o superiore a 102 cm, mentre per le donne il valore è di 88 cm“.
Secondo Marina Biglia, presidente di Amici obesi Onlus, “per combattere l’obesità è necessario uno sforzo comune di tutte le parti in causa, e soprattutto un corretto approccio con specialisti del settore che possano curare il malato a 360 gradi in centri multidisciplinari specifici“.
(Adnkronos)