Partorire come una volta, nel letto di casa invece che in uno d’ospedale. In Italia ormai è una scelta molto rara, ma c’è ancora qualcuno che vuole farla. “Oggi sono circa un migliaio ogni anno i bambini che nascono in casa in Italia. Un fenomeno che interessa solo alcune regioni e poche donne in gravidanza, molto determinati a contrastare la medicalizzazione talvolta eccessiva del percorso nascita”. Lo spiega Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di salute pubblica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Sulla sicurezza del parto a domicilio l’Irccs diretto da Silvio Garattini ha condotto uno Studio, i cui risultati saranno presentati sabato 29 ottobre in Triennale al convegno ‘Nascere in casa si può: noi ci siamo’. Un evento che in poco tempo ha fatto registrare il tutto esaurito, spiegano gli organizzatori.
Negli Stati Uniti – sottolineano – il parto a domicilio sta ritornando di moda, pur limitandosi all’1% dei nati. In altri Paesi invece cala, come in Olanda dove nell’arco di pochi lustri i bebè nati in casa si sono dimezzati al 15%. Nel nostro Paese il trend appare stabile: “Nulla cambia da decenni – dice Bonati – Dagli inizi degli anni ’60 il parto a domicilio è diventato sempre più una rarità su tutto il territorio nazionale”. In compenso la percentuale dei cesarei è del 35% (dal 21% della Toscana si va al 60% della Campania), contro il 15% indicato dall’Oms. Eppure vari fattori indicano che l’interesse per il parto all’antica c’è, ad esempio per “il bisogno espresso dalle donne di avere una assistenza più intima e personalizzata”, riflette Marta Campiotti, presidente dell’Associazione nazionale ostetriche parto a domicilio e casa maternità.
Nello studio del Mario Negri sono stati valutati 600 potenziali parti a domicilio assistiti dalle ostetriche aderenti all’Associazione negli ultimi 2 anni, prevalentemente in Emilia Romagna e a seguire in Lombardia. “Il 74% delle donne seguite ha partorito a domicilio – riferisce Campiotti – Otto donne e 11 neonati sono stati trasferiti in ospedale dopo il parto perché necessitavano di assistenza. Tutte le donne e tutti i neonati assistiti non hanno manifestato sequele a distanza”. E ancora. “Oltre la metà dei neonati – prosegue l’ostetrica – ha potuto usufruire del contatto prolungato della placenta (lotus birth), un modo dolce per entrare nella vita: il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta collegato alla sua placenta, ricevendo tutto il sangue placentare sino a quando il cordone si separa in modo naturale dall’ombelico del neonato”. “A domicilio garantiamo l’assistenza al travaglio e al parto fisiologico in accordo con le linee guida, nazionali e internazionali – conclude Campiotti – La condizione ideale è l’assistenza di tutta la gravidanza da parte dell’ostetrica che assisterà il parto, affinché possa accompagnare la gestante e la coppia durante l’intero periodo, sostenere il percorso di salute di tutto il processo attraverso una assistenza non invasiva e appropriata, e possa anche identificare prontamente eventuali controindicazioni all’assistenza domiciliare”.