Un gruppo coordinato dalla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, ha ricostruito al computer un modello tridimensionale del genoma umano. La forma del Dna incide significativamente sui processi biologici ed è dunque fondamentale per conoscerne la funzione. Questo lavoro ha fornito un primo identikit tridimensionale per il genoma umano, approssimato ma realistico. Grazie alle caratteristiche della nuova metodologia, la ricostruzione strutturale basata su informazioni sperimentali e su metodi statistici è destinata a perfezionarsi man mano che saranno disponibili nuovi dati sperimentali.
La ricerca, condotta in collaborazione con l’Università di Oslo, è stata pubblicata su ‘Scientific Reports’. Il sequenziamento del genoma è una pietra miliare della biologia moderna perché permette di accedere all’intera ‘lista di istruzioni’ (la sequenza chimica del corredo genetico) per lo sviluppo e la funzionalità degli organismi, spiegano gli autori di questo nuovo metodo: “sequenziare il genoma è come scrivere su un foglio la serie esatta dei colori delle perline di una collana: pur sapendo come questi si succedono lungo il filo non possiamo però conoscere la forma della collana”. La forma dei cromosomi può avere un’influenza decisiva sul loro funzionamento ed è dunque fondamentale conoscerla, anche perché, pensano gli scienziati, la matassa del Dna nel nucleo è solo apparentemente caotica e avrebbe invece una ‘geografia’ precisa e tipica per i vari tessuti e stadi di vita cellulare.
“Descrivere con precisione la forma della matassa formata dai cromosomi è incredibilmente complicato – precisa Cristian Micheletti, professore della Sissa e coordinatore del nuovo studio – Nel nostro caso ci siamo basati su informazioni sperimentali sulle ‘coppie di prossimità’. Provate a immaginare di dover ricostruire la mappa di una città – prosegue lo scienziato – avendo però a disposizione soltanto informazioni del tipo ‘la posta si trova davanti alla stazione’, ‘la farmacia è vicina alla palestra’; ‘il mercato ortofrutticolo è nei pressi del campo di calcio’ e via dicendo. Se avete poche di queste informazioni la vostra mappa sarà grezza, e in alcuni casi indeterminata. Ma se ne avete centinaia, migliaia o ancora di più, allora diventerà sempre più precisa e aderente alla realtà. Questa la logica che abbiamo seguito”. Le ‘coppie di prossimità’, si legge in una nota della Sissa, sono le informazioni sulla vicinanza fra due punti della mappa.
Quelle del Dna nel nucleo cellulare sono state fornite da una tecnica denominata Hi-C, sviluppata nel 2010 da alcuni gruppi di ricerca statunitensi con la quale vengono legati assieme pezzetti di genoma che si trovano vicini nel nucleo, e questi sono poi identificati dalla loro sequenza. Raccogliendo grandi quantità di queste coppie di prossimità si è così scoperto, aggiungono gli scienziati, quali punti dei cromosomi si trovano vicini nel nucleo. “Abbiamo usato un database pubblico di coppie di prossimità derivanti, inizialmente, da un unico esperimento di Hi-C”, spiega Marco Di Stefano, ricercatore che nel 2014 ha concluso il dottorato alla Sissa e primo autore della ricerca. I ricercatori hanno creato un modello virtuale di tutti i cromosomi in una conformazione tridimensionale ‘base’, identificando i punti dove si situavano i due pezzetti di Dna di ciascuna coppia di prossimità, per poi avvicinarli, piegando il filamento, come riferiscono in una nota.
“Facendo quest’operazione per tutte le coppie di prossimità abbiamo ottenuto una struttura, ingarbugliata ma non casuale, che ci ha svelato la forma di tutti i cromosomi del genoma umano, che risiedeva nascosta nei dati – riporta Di Stefano – Più coppie si usano, più preciso sarà il modello 3D che otterremo”. Dopo questa prima fase, Micheletti e i colleghi hanno aggiunto al modello una nuova serie di dati sperimentali. “Proprio mentre stavamo lavorando è stato pubblicato un nuovo set di dati Hi-C, più dettagliato del precedente, per cui abbiamo utilizzato anche quelli – racconta Micheletti – Temevamo che la nuova serie di dati potesse entrare in conflitto con la nostra nuova metodologia e ‘sfasciare’ il modello 3D precedentemente ottenuto. L’assetto, invece, rimaneva piuttosto simile al precedente, anzi, veniva semplicemente raffinato grazie ai nuovi dati e quasi per incanto le varie zone dei cromosomi andavano a collocarsi nei punti corretti del nucleo. Questo ci convince ancor più di essere riusciti a descrivere con buona approssimazione il dato reale, e speriamo che i dati raccolti in futuro ci consentano di svelare con sempre maggior dettaglio la forma del Dna racchiuso nelle nostre cellule”.