“Ricostruire dove la natura ha distrutto? Se tutto va bene ci vorranno quindici anni“. Giuseppe Zamberletti, 82 anni portati alla grande, è stato l’inventore e il padre, correva l’anno 1992, della Protezione Civile e ha gestito come commissario del Governo il dopo Terremoto in Friuli e in Irpinia. “Vivo con angoscia questa tragedia – racconta in un’intervista rilasciata a LaPresse – e anche se non sono direttamente impegnato comprendo benissimo i problemi che lo Stato e le comunità colpite dovranno risolvere“. Come in Friuli nel 1976 e poi in Irpinia nel 1980 “il primo e più urgente problema è quello di portare aiuto alla popolazione e preoccuparsi degli sfollati. Noto che come allora, più in Irpinia che non in Friuli, le persone hanno difficoltà a lasciare la loro terra e i loro paesi. E’ comprensibile soprattutto per gli anziani e per chi ha o aveva attività produttive anche piccole“. Ma il primo e più importante intervento è proprio questo: “Dare un alloggio agli sfollati. Dirò di più – prosegue Zamberletti – bisogna tentare, anche se non è facile, riprodurre per quanto possibile il senso della comunità perduta e distrutta. Quel che abbiamo cercato di fare in Friuli prima e in Irpinia poi“.
Nel Terremoto del 1976, ricorda Zamberletti “il grosso degli sfollati lo abbiamo dirottato sulla fascia costiera in attesa che fossero pronte le casette che sarebbero servite ad ospitarli. Abbiamo requisito case e alloggi solitamente utilizzati nella stagione delle vacanze. Lì mandavamo i gruppi familiari proprio per cercare di riprodurre la comunità e il calore appunto della famiglia. Le persone sole le abbiamo mandate in altrettanti alberghi“. Rimaneva il problema di chi aveva un’attività produttiva, anche un semplice lavoro artigianale. Anche in questo caso si è intervenuto in due fasi: “Abbiamo messo a disposizione ventimila roulotte che sono state poi restituite ai legittimi propietari quando fu possibile installare le case prefabbricate. Una corsa contro il tempo che almeno in Friuli a distanza di anni ha consentito una vera ricostruzione del territorio urbano colpito dal sisma“.
Più complicato, ammette Zamberletti, fu intervenire in Irpinia. “La gente non voleva staccarsi dal suo territorio e gli stessi trasferimenti sulla costa risultavano complicati anche per le distanze. Fu la stagione delle roulottopoli. Ne requisimmo venticinquemila e vi installammo i nuclei familiari. Fu importante ricreare sia pure in una situazione di emergenza e di vera e propria tragedia il clima della comunità. Utilizzammo invece diecimila container sia per alloggiare gli sfollati sia per adibilirli ad ambulatori, uffici comunali e scuole. Un paese fatto di roulotte, certo,ma comunque un paese e una comunità“.L’esperienza maturata nel passato, per Zamberletti, “può risultare utile anche oggi tenendo conto che la gente in qualche modo vuole restare collegata al territorio dove è nata e ha vissuto. E’ comprensibile ma non si può soddisfare questa esigenza utilizzando le tende. Serve altro“. Serve soprattutto una ricostruzione rapida ed efficiente: “In Friuli sono serviti dieci anni – ricorda Zamberletti – in Irpinia qualcosa in più. Da quel che ho visto e sentito per cancellare le ferite di questa ultima tragedia potrebbero volerci quindici anni“.