Salute, esami di laboratorio: “Sono un investimento ma vanno prescritti con grande appropriatezza”

MeteoWeb

Rischio di falsi positivi, come nel caso della funzionalità della tiroide, di sovradiagnosi, comunque di utilità non sempre certa e spesso capace di creare confusione: nel nostro Paese si pone un problema legato all’appropriatezza degli esami di laboratorio. “Sono esami fondamentali perché il laboratorio influenza fino al 70% delle diagnosi mediche e dei successivi trattamenti – afferma il prof. Mario Plebani, Dipartimento Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliera-Universitaria di Padova – però va definito nel dettaglio il suo ruolo in rapporto diretto col clinico. Si tratta di procedure che spesso presentano costi economici diretti e indiretti, importanti anche perché possono portare ad altre indagini diagnostiche, ricoveri e trattamenti terapeutici”. All’inizio del 2016 è entrato in vigore il Decreto sull’appropriatezza delle prescrizioni mediche del Ministero della salute che definisce i criteri e i limiti con cui i medici possono prescrivere circa 200 prestazioni a carico del Sistema sanitario nazionale, ma è forte la necessità di posizionarsi al meglio per evitare procedure inutili, talvolta dannose e soprattutto costose. Per questo, caso unico in Italia finora, un board scientifico di esperti del settore ha ideato e realizzato con il supporto di Siemens Healthcare – una serie di corsi ECM dedicati ai professionisti di laboratorio sul tema dell’appropriatezza nella funzionalità tiroidea, in quella renale, nella malattia celiaca e sui Point of Care Testing. “Abbiamo preso in considerazione le più recenti e consolidate prove scientifiche e le linee guida nazionali e internazionali – sottolinea Plebani – e le possibili criticità che ostacolano l’attuazione di un corretto percorso di appropriatezza. I risultati vengono presentati oggi nel corso di un convegno nazionale che si svolge all’Auditorium del Ministero della Salute a Roma. “Prendiamo i test di funzionalità tiroidea – spiega il dott. Renato Tozzoli, Dipartimento di Medicina di Laboratorio, Laboratorio di Patologia Clinica, Presidio Ospedaliero S. Maria degli Angeli, Pordenone – l’opinione largamente diffusa fra i pazienti è che più esami si fanno, meglio è. E’ vero invece proprio il contrario: più profili di test vengono effettuati maggiore è la possibilità di risultati discordanti fra loro, il che complica la diagnosi per il medico che non riesce spesso a spiegarsi la discordanza. Si concretizza – aggiunge Tozzoli – la cosiddetta ‘sindrome di Ulisse’ del malato che deve fare altri test, ecografie, scintigrafie passando dal medico di famiglia, al laboratorio, eventualmente dall’endocrinologo, al medico nucleare non perché sia veramente malato, ma perché sono stati prescritti test non adeguati”.
In altre aree, invece, i test genetici diventano prioritari. È il caso della celiachia – sottolinea il dott. Tommaso Trenti, Dipartimento di Medicina di Laboratorio e Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria e Azienda USL, Modena – oggi il laboratorio è in grado di effettuare diagnosi di celiachia senza biopsia intestinale con grande vantaggio per il malato di età pediatrica ed ha assunto una rilevanza fondamentale per la diagnosi della malattia. L’importante – spiega il medico – è però ricordarsi che gli esami hanno valore se il paziente non ha già eliminato il glutine: vanno quindi evitate le diete fai da te e va preferito l’immediato ricorso al test”.
Analogo discorso può essere fatto per la malattia renale cronica che colpisce in Italia circa 2 milioni e 200mila persone. La medicina di laboratorio – aggiunge la dott.ssa Francesca Di Serio, Patologia Clinica Ospedaliera, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico, Bari – svolge un ruolo centrale nella identificazione dei fattori di rischio, di diagnosi precoce, stadiazione e monitoraggio della malattia. E tutto ciò consente al clinico di intervenire efficacemente riducendo il rischio che questa patologia possa peggiorare, portando il malato alla dialisi o al trapianto con costi importanti e una ridotta qualità di vita”.
Ma l’appropriatezza – conclude Plebani – entra in campo soprattutto in cardiologia e oncologia. “Nel caso del dolore toracico acuto, per esempio, alcuni esami risultano ormai obsoleti ed altri rischiano di creare confusione, come quelli della mioglobina e della CKMB. Va invece scelto il solo esame appropriato, la troponina cardiaca, che permette di dimostrare che il 30% dei pazienti con dolore cardiaco senza segni elettrocardiografici ha un infarto ben definito. E nel cancro, i marcatori tumorali devono essere richiesti in modo adeguato per pazienti preparati psicologicamente a ricevere la risposta e consultarsi col proprio medico per la corretta interpretazione”.

Condividi