L’attività fisica, a differenza di quanto comunemente si pensa, è una delle più valide terapie per riabilitare un cuore malato. Si tratta di una vera e propria medicina per le persone che hanno già subito un infarto, un intervento di bypass coronarico o un impianto di stent che riduce del 25% circa il numero totale dei decessi, le morti su base cardiovascolare, il ripetersi di episodi di infarto e le riammissioni in ospedale. Una percentuale significativa considerato che nell’Unione Europea le malattie coronariche sono la prima causa di morte e comportano circa 1.95 milioni di decessi ogni anno.
Nella popolazione di eta’ inferiore ai 75 anni, il 13% degli uomini e il 9% per le donne muore per patologie cardiache: un triste primato che rende le malattie del cuore responsabili di un numero superiore di morti rispetto a quelle causate dal cancro ai polmoni (la piu’ frequente neoplasia fra gli uomini con il 10% di decessi) o al seno (la piu’ frequente neoplasia fra le donne con l’8% di decessi) in quella fascia di eta’. Le percentuali piu’ elevate si registrano nei Paesi dell’Europa centrale e dell’Est e le piu’ basse nei Paesi dell’Europa meridionale.
La riabilitazione cardiaca basata sull’esercizio fisico e’ stata il focus del Progetto “TAKE HEART” i cui risultati – saranno presentati sabato a Roma nell’Aula Magna dell’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del Coni -. Risultai che hanno contribuito a sfatare la credenza che vede i cardiopatici condannati ad una vita piena di rinunce. Senza dimenticare che le malattie coronariche hanno anche un elevato costo economico, quantificato in circa 60 miliardi di euro all’anno. Di questi il 33% e’ legato ai costi sanitari diretti, il 29% alla perdita di produttivita’ e il 38% per l’assistenza alle persone con malattia coronarica. La sfida dunque, e’ ottimizzare la qualita’ della vita dopo eventi cardiovascolari o trattamenti interventistici, permettendo una partecipazione attiva nella vita sociale ed economica. E’ questo l’obiettivo primario del Progetto “TAKE HEART”, sviluppato in accordo con il programma ERASMUS+ SPORT, per aumentare la consapevolezza sull’importanza dell’attivita’ fisica per migliorare il proprio stato di salute.
In particolare “TAKE HEART” – sviluppato nel biennio 2015 e 2016 in cinque Paesi Ue (Austria, Italia, Norvegia, Polonia e Ungheria) – ha monitorato e valutato la situazione nei diversi paesi puntando a identificare e condividere le buone pratiche di riabilitazione cardiaca. Con tre passaggi: accrescere il livello di conoscenza di medici, fisioterapisti e preparatori atletici e operatori sanitari; aumentare la consapevolezza ed il livello di adesione dei pazienti e dei loro familiari e coinvolgere anche coloro che non seguono programmi di riabilitazione cardiovascolare.
“Tutti siamo ormai consapevoli che l’attivita’ sportiva svolge un ruolo significativo per aiutarci a mantenere un elevato livello di salute – ha dichiarato il Professor Alessandro Biffi, Responsabile Servizio di Sport-Terapia, Prevenzione Cardio-Vascolare e Promozione della Salute IMSS Coni – ma non e’ ancora altrettanto diffuso il concetto che per un malato di cuore l’esercizio fisico sia una vera e propria medicina e come tale vada prescritto, con le relative indicazioni, dosaggio, controindicazioni e precauzioni d’uso. Esattamente come un farmaco. La riabilitazione cardiovascolare e’ un intervento multidisciplinare con un approccio globale. I pazienti lavorano a fianco di un team di professionisti sanitari – tra cui cardiologi, specialisti in medicina dello sport, psicologi, fisioterapisti, terapisti della riabilitazione, terapisti occupazionali, dietisti – che definiscono un programma a lungo termine comprendente valutazioni mediche e prescrizione dell’esercizio. Ma anche educazione sanitaria e counselling, supporto psicologico e sociale.”
Purtroppo anche se le linee guida dell’OMS raccomandano 30 minuti di attivita’ fisica giornaliera moderata o vigorosa, tra chi soffre di malattie cardiovascolari, incertezza e paura sono ancora molto diffuse. Mentre, al contrario, l’esercizio fisico non solo riduce significativamente il rischio di recidive e morte, ma agisce positivamente anche sui fattori di rischio come ipertensione, obesita’, diabete, colesterolo, migliorando complessivamente la qualita’ della vita e la fitness cardiovascolare. E aumentando anche la percezione positiva della propria integrita’ fisica, la motivazione al trattamento e a cambiare i propri stili di vita, facilitando cosi’ il recupero del ruolo all’interno della famiglia, della societa’ e il ritorno a una vita piena.
“I dati della letteratura scientifica sono numerosi e permettono di affermare che la riabilitazione cardiovascolare e’ una pratica sicura – ha aggiunto il professor Massimo Santini, Past-President WSA (World Society of Arrhythmias). Oggi pero’, purtroppo, solo 1/3 di coloro che potrebbero beneficiare della riabilitazione cardiovascolare, segue uno specifico programma basato sull’esercizio fisico. Mentre la platea degli “interessati” e’ in crescita a causa sia dell’invecchiamento della popolazione che dell’aumento di obesita’ e diabete e per il fatto che sempre piu’ persone sopravvivono agli eventi coronarici acuti grazie proprio ai progressi nell’approccio terapeutico farmacologico e strumentali. Il primo passo da fare, dunque e’ quello di cambiare mentalita’. Devono farlo in primis i pazienti e i loro familiari, ma anche gli stessi medici, i quali fanno si’ che questo processo di riabilitazione cardiovascolare avvenga con efficacia e nella massima sicurezza, fornendo anche un supporto psicologico al paziente.” Il Progetto “TAKE HEART” ha coinvolto oltre all’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del Coni, il Dipartimento di Riabilitazione Cardiovascolare della Feiring Heart Clinic, LKL di Oslo; la Facolta’ di Educazione Fisica e Sport Dipartimento di Medicina dello Sport e Chinesiologia dell’Universita’ di Cracovia; il Cluster di sviluppo per lo “Sport e lo stile di vita in Ungheria” Dekut di Debrecen; l’Istituto Universitario di Medicina dello Sport, Prevenzione e Riabilitazione, Salk di Salisburgo.