Dolore addominale, gonfiore e irregolarità intestinale. Il 10% della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone, accusa i sintomi dell‘intestino irritabile, di diversa entità. Per circa un terzo, due milioni di pazienti, il problema è grave, tanto da dover ricorrere, nei momenti critici, alle cure del pronto soccorso. A fornire la fotografia del problema, ampiamente diffuso nella popolazione italiana, Enrico Stefano Corazziari, docente di Gastroenterologia all’università Sapienza di Roma, nel corso dell’incontro “La sindrome del colon irritabile una patologia di rilevanza sociale alla ricerca di una vera risposta sanitaria“, che si è svolto oggi a Roma, per la presentazione del Comitato per la sindrome dell’intestino irritabile e del Manifesto dei diritti della persona con sindrome dell’intestino irritabile. Una patologia sottovalutata anche dal Servizio sanitario nazionale, hanno ricordato gli esperti, ma che incide fortemente sulla qualità della vita delle persone colpite. Soprattutto per un 5% con sintomatologia così grave da essere invalidante.
“I pazienti – ha ricordato Corazziari – fanno ricorso ancora troppo spesso all’automedicazione e a terapie sintomatiche inefficaci. I principali sintomi sono stipsi e dolore addominale. Tuttavia, i farmaci spesso prescritti dai medici stessi o scelti dal paziente in autonomia agiscono solo su uno dei due sintomi e tendono a peggiorare l’altro: un lassativo migliora la stipsi ma peggiora il dolore, un antispastico migliora il dolore ma peggiora la stipsi. L’alternativa fino a oggi era costituita dagli antidepressivi, con un’azione sul sistema nervoso centrale. Ma anche questi sembrano agire più sul dolore che sulla stipsi”. “Le nuove molecole oggi disponibili sembrano invece dare un sollievo importante su entrambi i versanti. Tuttavia, hanno un costo a carico del paziente. In questo senso, e proprio per i pazienti più gravi, sarebbe importante che queste terapie fossero dispensate dal Ssn, magari su esclusiva prescrizione dello specialista”. Occorre, comunque, conclude l’esperto, “più attenzione da parte dei medici di medicina generale”.