“Più che essere rinviato, il piano lupo dovrebbe essere annullato. Se approvato, andremmo incontro ad un enorme problema ambientale”. Andrea Mazzatenta, docente di psicobiologia e psicologia animale all’Università di Teramo, commenta così all’AdnKronos Salute il rinvio alla conferenza Stato-Regioni del piano del ministero dell’Ambiente per l’abbattimento del lupo, dopo 45 anni di tutela.
“Il lupo – spiega Mazzatenta – è l’unico sistema efficace per tenere basso il numero dei cinghiali e degli altri ungulati, come il capriolo. Nel caso del cinghiale, il lupo rimuove esclusivamente i piccoli, determinando l’invecchiamento della popolazione. Questo fenomeno è fondamentale per il controllo della stessa. Il cinghiale – prosegue – è una preda che tra i meccanismi di difesa della specie ha l’organizzazione del branco matriarcale, con la matrona che controlla con un feromone l’estro delle figlie, bloccandolo. L’abbattimento del cinghiale da parte dell’uomo porta spesso all’uccisione delle femmine capobranco, con la conseguente rimozione di tale feromone: in questo modo le figlie entrano subito in estro riproducendosi, e invece di dieci piccoli che una femmina anziana può produrre, ne otteniamo 20-30-40 o più dalle giovani figlie. Il risultato è l’aumento esponenziale della popolazione del cinghiale, nonostante gli abbattimenti. Pertanto – sottolinea Mazzatenta – il lupo è l’unico sistema biologico di contenimento del cinghiale”.
Quali sono, quindi, le soluzioni più utili da adottare preservando la vita dei lupi? “Abbatterli – avverte Mazzatenta – non mitigherebbe il conflitto con gli allevatori e, tra l’altro, creerebbe un ulteriore problema dovuto dal disgregamento dei branchi. Questo porterebbe ad avere lupi vaganti non più in grado di predare animali selvatici, e che per la fame caccerebbero preferenzialmente animali allevati, avvicinandosi alle abitazioni. Per prevenire la predazione dei lupi – suggerisce il docente -l’antidoto migliore è l’utilizzo del cane da pastore, come il mastino abruzzesse (detto anche pastore abruzzese, oppure cane da pecora). Dovremmo creare una rete e potenziare il dna di questi cani, reintrodurli e farli crescere direttamente dai pastori e non dagli allevatori. Nel passato, infatti, – ricorda Mazzatenta – i pastori potevano contare su buoni cani da pecora, che in un certo modo garantivano e regolamentavano una serena convivenza con i lupi”.
“Inoltre – aggiunge – un punto controverso del piano del ministero è quello del contenimento dell’ibridizzazione con il cane: non possiamo biologicamente parlare di ibrido tra cane e lupo, poiché appartengono alla stessa specie, e la riprova è che il loro incrocio porta a prole fertile. Infatti, gli allevatori del cane lupo cecoslovacco usano ancora incrociare, illegalmente, questo cane con lupi selvatici dei Carpazi. Parlare di ibrido è quindi sbagliato, e tra l’altro – sottolinea – evoca un sentimento negativo, di un qualcosa cosa che ‘non dovrebbe essere nato’, e facilita l’abbattimanto. Infine – conclude Mazzatenta – il numero eccessivo di lupi è tutto da dimostrare: è un animale estremamente difficile da stimare e quantificare in maniera precisa”. (AdnKronos)