Una nuova generazione di farmaci in arrivo, la possibilità di ridurre i tempi delle terapie. Ma anche i prezzi delle super cure. Dopo aver inferto un primo colpo all’epatite C, si affilano le armi in vista di una nuova dura battaglia. “Si stanno creando i presupposti per trattare potenzialmente tutti, inseguendo il sogno dell’eradicazione”, riflettono gli specialisti riuniti a Seattle per il Croi, la Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche che ha richiamato negli Usa oltre 4 mila esperti. Ma non sarà una battaglia facile perché le variabili in gioco sono tante. Il sommerso va stanato, tutti i malati devono essere trattati anche per impedire al virus di circolare. E per i sistemi sanitari, che devono tenere conto anche del vincolo della sostenibilità, è una partita complicata da giocare. “Sarebbe però la prima volta che una malattia infettiva viene eradicata con la terapia, e non con un vaccino”, riflette Giovanni Di Perri, direttore del Reparto di malattie infettive a direzione universitaria del Comprensorio ospedaliero Amedeo di Savoia di Torino. Dopo l’arrivo delle super cure si è aperto un momento d’oro: “In pochi anni siamo passati da un decennio vissuto senza particolari evoluzioni ad avere a disposizione 5-6-7 opzioni. Un cambiamento rapido”, sottolinea. E guardando alla strada percorsa finora con i nuovi anti epatite C, a cui hanno avuto accesso in Italia i pazienti più gravi, “il nostro Paese ha ottenuto i risultati migliori in Europa. Il tasso di successo è in media del 95%”, fa notare Giovanni Battista Gaeta, professore ordinario di malattie infettive alla Seconda università degli studi di Napoli. Ma non basta, puntualizza Carlo Federico Perno, professore di virologia all’Università di Tor Vergata e direttore di Virologia molecolare al Policlinico Tor Vergata di Roma. Perché dentro quella che “può essere definita una piccola percentuale di ‘fallimenti’, seppur con combinazioni di farmaci pensati per raggiungere il 100% di successi, abbiamo circa 3.500 pazienti in carne e ossa, considerando solo la platea di malati gravi trattati, pari a circa 62 mila. Secondo calcoli provenienti dalla Comunità Europea entro il 2020 si prevedono circa 100 mila malati che nel Vecchio continente devono fare i conti con un fallimento della terapia”. Nell’esperienza italiana si è osservato che molto ha pesato il genotipo della malattia. Per l’epatite C se ne contano 6, di cui i primi 4 più frequenti. “È come trovarsi davanti tante infezioni diverse – nota Di Perri – e i farmaci attuali sono da scegliere in base ai genotipi perché abbiamo visto che alcuni non rispondono a terapie che invece sono efficaci per altri”. Il problema però, spiega Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, “è che con i vecchi metodi di test era possibile sbagliare l’identificazione del genotipo, e in quei casi si è trattato il paziente con il farmaco meno adatto. Conviene dunque sempre verificare il genotipo prima di dare la terapia. Perché per non rifare un test da 30 euro se ne sono buttati 20 mila per una terapia sbagliata”. Un fallimento mette davanti a due possibilità: ritrattare il paziente in maniera molto complessa, visto che in questi casi “le resistenze sono la norma – spiega Gaeta – oppure aspettare la next generation”. Nuova generazione che, evidenzia Di Perri, “sembra essere efficace anche con i virus più resistenti. È stato osservato con il regime sperimentale composto da glecaprevir e pibrentasvir, che è risultato attivo su tutti i genotipi. Una soluzione per il futuro che inizia adesso, quando dovremo cioè trattare un’ampia platea di pazienti meno avanzati. Avremmo una terapia in una sola pillola che essendo più potente permette di accorciare i tempi: un malato con un quadro non complicato può guarire in sole 8 settimane, con un 95% di efficacia attesa. Si profila una terapia più semplice e quindi più adatta anche a pazienti più giovani”, meno invece ai soggetti con cirrosi grave. Per il regime sperimentale targato Abbvie, l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha concesso l’iter abbreviato di valutazione. Il debutto sul mercato dei next generation è imminente e cambierà anche il quadro dei costi, favorendo la spinta verso il basso che l’Aifa di negoziazione in negoziazione sta cercando di ottenere. Le super cure “sono partite con un prezzo iniziale alto – ripercorrono gli specialisti – poi con l’aumento della concorrenza oggi abbiamo farmaci che si attestano sui 9 mila euro, poche migliaia in più di quanto si spendeva con le precedenti terapie anti epatite C con interferone, cioè circa 5 mila euro. E più si andrà avanti, con la next generation, più ci attendiamo una discesa dei prezzi. Un aspetto che, unito ai tempi più brevi delle terapie, amplierà la nostra capacità di trattare pazienti”.