La centrale nucleare francese di Flamanville è stata per quasi sei anni uno dei perni delle strategie energetiche italiane. Nel 2007 è stata infatti protagonista della pax energetica tra Roma e Parigi, siglata dal premier di allroa Romano Prodi e dal presidente francese Nicolas Sarkozy, in seguito alla lunga crisi innescata dalla scalata di Edf a Edison. L’accordo prevedeva l’ingresso di Enel nel mercato francese e l’acquisizione di una quota del 12,5% in Flamanville che si stava invece espandendo. Nella centrale, che contava su due reattori PWR costruiti negli anni ’80, stava iniziando la costruzione di due altri reattori di tipo EPR, la massima espressione tecnologica del nucleare francese.
La collaborazione tra Enel ed Edf in Flamanville si rafforzò quando il governo Berlusconi decise il rientro nel nucleare e scelse la tecnologia francese EPR per realizzare quattro nuovi reattori in Italia: per l’occasione tecnici della società elettrica furono trasferiti a Flamanville per prendere contratto con il nuovo tipo di reattore, la cui costruzione procedeva però a rilento tra mille difficoltà. La corsa dell’Italia verso il rientro nel nucleare si fermò nel marzo 2011 con l’incidente di Fukushima, in Giappone. Il successivo referendum indetto a giugno sulla scia del disastro giapponese bloccò il progetto di portare l’Epr in Italia. Un anno dopo, nel dicembre 2012, Enel formalizzò la sua uscita dal progetto di Flamanville ottenendo un rimborso di 600 milioni di euro da Edf per i ritardi del progetto. Iniziata nel 2007 con un costo stimato di 3,3 miliardi di euro e un completamento previsto nel 2012, la costruzione dell’EPR di Flamanville è stata più volte rinviata mentre i costi sono schizzati fino a 8,5 miliardi di euro. Allo stato attuale si prevede il completamento a fine 2018, 11 anni dopo l’apertura del cantiere.