La scienza si alza nuovamente a difesa degli oceani e spinge a tutelare gli abissi marini perché costituiscono le future risorse dell’economia planetaria. Per proteggerli, indica un team di scienziati in una ricerca su “Science”, serve “una difesa unitaria e trasnazionale” della loro biodiversità. Nelle profondità dei mari ci sono infatti minerali, metalli pregiati e idrocarburi che spesso si trovano “in acque internazionali prive di controlli”, per questo bisogna “intervenire in maniera mirata” e “unitaria”, con un approccio “ecosistemico”, avverte lo studio coordinato dall’italiano Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. Gli Oceani, in particolare gli ambienti profondi, vale a dire quelli al di sotto dei 200 metri di profondità, evidenziano i ricercatori, costituiscono le principali aree di biodiversità del Pianeta, in quanto capaci di svolgere tutti i cicli biogeochimici e le attività di regolazione dei processi di scambio di calore e di mitigazione del clima, oltre che essere anello indispensabile per il processo di assorbimento dell’eccesso di anidride carbonica presente nell’atmosfera.
Gli abissi marini “costituiscono il 95% del volume degli oceani” eppure di questa “vastità conosciamo meno dello 0,0001%” avverte Danovaro. “Gli ecosistemi a noi ignoti custodiscono, quindi, la maggior parte della biodiversità presente negli abissi” ma “oltre il 50% di essi si estende in acque internazionali, dove non vige alcuna legislazione nazionale” sottolinea lo scienziato. Questi ambienti, spiega, “sono così soggetti ad un consistente e costante impoverimento di risorse, dovuto ad attività non regolamentate, come pesca e approvvigionamento di minerali e idrocarburi, con conseguenze spesso drammatiche”. Le Nazioni Unite, con la “Convenzione sul diritto del mare“, forniscono linee guida ma “non principi vincolanti” e, nonostante la disciplina imposta dall’International Seabed Authority, “manca una concreta pianificazione univoca trasnazionale” per regolamentare queste aree, è l’allarme lanciato dalla ricerca.
Attraverso lo studio pubblicato su “Science”, Roberto Danovaro, insieme al suo team, si propone così di dare inizio ad una vera e propria “rivoluzione biologica capace di produrre risposte e prospettive costruttive, con l’obiettivo di salvaguardare e difendere la biodiversità degli abissi”. “Acquisendo dati sugli organismi e sugli ecosistemi, mettendo in rete le informazioni chimiche e fisiche in nostro possesso, si avrà l’opportunità di utilizzare network di piattaforme, infrastrutture di ricerca e unità autonome che saranno capaci di colmare questo gap a favore di una gestione ecosistemica e lungimirante degli oceani profondi” dice lo scienziato. Quello cui aspirano i ricercatori, quindi, è la creazione di “un’organizzazione internazionale incaricata della tutela degli ambienti profondi, con meccanismi di finanziamento trasnazionale“, per dare elementi innovativi alla ricerca e alla tutela degli ecosistemi marini. Nonché alle politiche di utilizzo sostenibile delle risorse degli oceani.