Nel riquadro in alto, un rappresentazione artistica della doppia pulsar. In basso, la riga del ferro individuata con Srt. Crediti: Iacolina, Pellizzoni, Egron et al., 2016, ApJ, 824, 87; Egron, Pellizzoni, Pollock et al., ApJ, in stampa Che la Sardegna fosse una terra di miniere e minatori era cosa nota, ma oggi, dopo la crisi del settore, la ricerca di metalli resta solo sui libri di storia. Nel prossimo futuro, tuttavia, il Sardinia Radio Telescope (Srt) potrebbe diventare un nuovo strumento di “follow up” (ovvero di completamento del monitoraggio della sorgente) di programmi di ricerca di metalli in stelle lontane dal Sistema solare. È questo, infatti, l’obiettivo del progetto dell’Istituto nazionale di astrofisica che ha osservato un sistema binario di pulsar con Xmm-Newton (X ray Multi-Mirror, in italiano “multi-specchio ai raggi X”), un telescopio satellitare per raggi X.
A oltre 14 anni dalla sua scoperta alle radio-frequenze da parte dei ricercatori dell’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Cagliari, la pulsar doppia Psr J0737-3039 non finisce di stupire, e rimane il più estremo e compatto tra i rari sistemi binari con due stelle di neutroni. Estremo perché permette di testare a fondo le teorie gravitazionali in campo forte (come la relatività generale), ed è l’unico caso in cui si osservano segnali da due pulsar orbitanti tra loro, separate da meno di un milione di km (percorsi in 3 secondi alla velocità della luce, un’inezia rispetto alle tipiche distanze cosmiche). Una sorgente astrofisica molto studiata, ma che può ancora riservare interessanti sorprese, in particolare nei raggi X.
Due pulsar così vicine interagiscono tra di loro producendo radiazione alle alte energie, svelando interessanti peculiarità della loro struttura, sia sui processi di emissione che sull’ambiente circostante. Grazie al monitoraggio eseguito tramite lunghe osservazioni nel corso degli anni con il satellite Xmm-Newton, si è compreso come la pulsar più brillante riesca ad attivare l’emissione X della pulsar compagna più lenta e “pigra”, anche quando questa non è più osservabile in banda radio: è scomparsa, infatti, alla vista dei radiotelescopi nel 2008.
Sembra esserci un vero e proprio trasferimento di energia da una pulsar all’altra anche se non sembra presente trasferimento di materia. Tuttavia, con enorme sorpresa, nell’ambito delle analisi spettrali si è trovata una riga di emissione del ferro a 6-7 keV (kilo-elettronvolt, unità di misura dell’energia che moltiplica mille volt per la carica degli elettroni) nei dati Xmm-Newton. Tale ritrovamento testimonia la presenza di materiale circumstellare, forse legato ai resti di un disco di accrescimento sopravvissuto a ben due esplosioni di supernova che tra 50 e 200 milioni di anni fa hanno posto fine alla vita delle stelle progenitrici delle due pulsar. Tale emissione, associata alla presenza di ferro, è tipica dei sistemi binari con stelle di neutroni o buchi neri che accrescono materia da una compagna, ma era un processo finora sconosciuto nelle pulsar isolate o binarie.
Noemi Iacolina (in alto) ed Elise Egron (in basso), le due ricercatrici cagliaritane del team autore della scoperta La presenza di questa “miniera di ferro”, di questo “relitto archeologico”, rinforza le speculazioni riguardo a strutture simili che potrebbero essere presenti in altri sistemi peculiari di stelle di neutroni che si suppone non accrescano materia, fornendo preziose informazioni sul loro passato e sui relativi progenitori. A firmare i due articoli che descrivono queste scoperte – uno pubblicato nel 2016, l’altro in corso di pubblicazione, entrambi su ApJ – è un team dell’Osservatorio astronomico di Cagliari, guidato da Alberto Pellizzoni e composto dalle astrofisiche Elise Egron dell’Inaf e Maria Noemi Iacolina (ora in forze all’Asi), entrambe impegnate nello sviluppo e operazioni del Sardinia Radio Telescope, il radiotelescopio sardo che permetterà di proseguire il lavoro di monitoraggio della doppia pulsar nei prossimi anni sotto l’aspetto radio. «Senza le idee e il paziente, lungo e minuzioso lavoro di queste ricercatrici», dice Pellizzoni, «sarebbe stato difficile portare a termine il nostro progetto osservativo nella banda X, che ha richiesto tra le altre cose l’adozione di tecniche di analisi innovative che combinano analisi spettrale e imaging, per poter confermare l’effettiva presenza della riga del ferro».