Venti anni fa la notte tra l’11 e il 12 aprile fu per i torinesi una notte interminabile. Un corto circuito elettrico causò un incendio al Duomo che distrusse quasi interamente la Cupola di Guarino Guarini, nella quale era custodita la Sacra Sindone, fortunatamente scampata alle fiamme. Dopo vent’anni, mentre si attende l’oramai imminente fine dei lavori di restauro, il ricordo di quella notte nelle parole di alcune persone, che vissero da vicino quei momenti, e’ ancora vivo. “All’epoca vivevo vicino al Duomo – racconta Gian Maria Zaccone, direttore del Centro internazionale di Sindonologia – e mi accorsi subito che stava accadendo qualcosa. Cosi’ usci’ di casa e andai verso via XX Settembre. Quando notai le fiamme, parlai subito con il generale dei carabinieri, gli spiegai che conoscevo bene l’interno della chiesa e, soprattutto, dove e in che modo era custodita la Sindone”.
Il Sacro lino, conservato in una cassa posta all’interno di una teca costruita in metallo e grosse lastre di vetro, per via di alcuni lavori di restauro, era stato spostato dall’altare del Bertola in una posizione che si trovava proprio sotto la cupola in fiamme, dietro l’altare maggiore. “Quella notte insieme a me c’era Bruno Barberis, attuale coordinatore del Comitato scientifico del Centro di Sindologia – ricorda Zaccone -. Insieme ad alcuni vigili del fuoco, decidemmo di entrare nel Duomo, dirigendoci subito verso la Sindone. Temevamo che il calore, ma soprattutto l’acqua degli idranti utilizzati per spegnere le fiamme, potesse raggiungere la teca e danneggiare la reliquia. Anche perche’, dopo l’incendio del 1532, alcune suore avevano ricucito la Sindone, gravemente danneggiata dal rogo, con delle toppe poste sopra un tessuto di rinforzo. E tra le due parti vi era molta polvere nera che, se fosse venuta a contatto con l’acqua, avrebbe macchiato il Sacro lino”.
Zaccone e Barberis comunicarono ai vigili del fuoco che l’unico modo per asportare la cassetta era spaccare i due strati di vetro che la proteggevano. Si utilizzarono delle mazze, facendo molta attenzione a non danneggiare la reliquia. “Mentre i vigili colpivano le lastre – ricorda ancora Zaccone – ho alzato lo sguardo verso la Cupola e ho visto delle fiamme terribili. Fortunatamente il fuoco andava verso l’alto e non verso il basso, dove ci trovavamo noi”. Colpendo a turno la teca, i vigili riuscirono finalmente a rompere il vetro ed estrarre la cassetta. Una macchina della polizia trasporto’ la Sindone nella sede dell’Arcivescovado, poco distante dal Duomo. “Dovevamo subito aprire la cassetta – spiega Zaccone – e accertare che non vi fosse dell’acqua. La portammo al primo piano, nella sala in cui sono raffigurati tutti gli arcivescovi di Torino, ricordo ancora la commozione del momento. In presenza dell’arcivescovo Giovanni Saldarini aprimmo la cassa e toccammo l’involto di seta che protegge la Sindone. Per fortuna non era umido e anche i sigilli in ceralacca erano intatti. La cassetta fu richiusa per poi essere aperta due giorni dopo, quando fu accertato che la Sindone non aveva subito nessun danno”.
La mattina seguente all’incendio giunse a Torino monsignor Giuseppe Ghiberti, all’epoca dei fatti delegato episcopale per la custodia della Sindone. Nella notte del rogo si trovava a Roma e qualche ora prima del disastro, era stato accolto da papa Giovanni Paolo II in Vaticano. “Gli dissi – afferma – che ero il responsabile dell’organizzazione dell’ostensione della Sindone e lui mi sorrise. Credo che la sua benedizione sia servita a salvare il Sacro lino. La mattina dopo arrivai a Torino, ma non sapevo ancora nulla perche’ i giornali che trovai sull’aereo erano andati in stampa prima che divampasse l’incendio. Appena giunto in citta’ mi avvisarono e mi recai subito in Arcivescovado, dove la reliquia era ancora intatta. Pregai Dio e lo ringraziai insieme alle altre persone presenti. L’anno successivo, nel 1998, l’ostensione fu emozionante, cosi come quella, indimenticabile del 2000, l’anno del Giubileo”.