Il nanofarmaco deve arrivare al polmone? Per riuscirci la ‘navicella’ che lo trasporta dovrà assomigliare a una stella, mentre è meglio evitare fogge a sfera o a cilindro. Nella costruzione di un nanovettore intelligente la forma conta almeno quanto la sostanza. Perché bastano modificazioni minime nella geometria, nella dimensione o nella rugosità della superficie esterna della struttura vettrice per condizionare in modo determinante l’accumulo del principio attivo in un organo specifico, come pure la permanenza, l’escrezione e il rilascio. Alla scoperta, pubblicata su ‘ACSNano’, hanno partecipato come coordinatori gli scienziati italiani dell’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Lo studio, che offre indicazioni utili in nanomedicina e diagnostica per immagini, è frutto di una collaborazione tra il Dipartimento di biochimica e farmacologia dell’Istituto diretto da Silvio Garattini, il Centro di interazione bio-nano dell’University College di Dublino in Irlanda e il gruppo di biofotonica dell’università di Marburg in Germania. Il lavoro è finanziato dall’Unione europea nell’ambito del Seventh Framework Programme (FP7). Nonostante nell’ultima decade siano stati fatti molti tentativi per favorire il trasporto diretto del nanofarmaco verso il bersaglio terapeutico, in particolare attraverso il legame di molecole affini a specifiche strutture delle cellule di interesse, l’impatto di tale strategia nella pratica clinica è stato pressoché nullo, spiegano gli esperti di via La Masa, convinti di aver fatto ora un passo avanti. “Il presente studio – riferisce Paolo Bigini, responsabile dell’Unità di nanobiologia del ‘Mario Negri’ e alla guida del progetto – si è focalizzato sul comportamento di nanoparticelle d’oro di differente forma o dimensione dopo somministrazione sistemica nel topo, monitorando parametri chiave quali l’accumulo in organi filtro, il passaggio di barriere biologiche e la cinetica di smaltimento”. “La scelta dell’oro non è stata casuale – precisa il ricercatore – L’oro è infatti un materiale che può combinare proprietà di agente di contrasto, visualizzabile con tomografia computerizzata, con caratteristiche atte a favorire il rilascio di sostanze farmacologicamente attive in un’area anatomica estremamente localizzata previa stimolazione magnetica focalizzata”. “Sebbene ci sia ancora molta strada da percorrere – commenta Mario Salmona, responsabile del Dipartimento di biochimica e farmacologia molecolare dell’Irccs meneghino – questo studio rappresenta un importante riferimento verso lo sviluppo di nanovettori intelligenti, in grado di raggiungere preferenzialmente un organo bersaglio e rilasciare il farmaco di interesse. E’ inoltre è importante non trascurare l’elevata qualità tecnologica, in particolare la produzione di nanovettori microbiologicamente sicuri. Questo è sicuramente un importante passo in avanti verso una seria e responsabile ricerca traslazionale”. “I farmaci immunoterapici attuali, i cosiddetti inibitori dei checkpoint immunologici – spiega Michelino De Laurentiis, direttore dell’Unità operativa complessa di Oncologia senologica del Pascale – agiscono sostanzialmente rimuovendo il freno immunologico che il tumore tiene premuto per evitare di essere attaccato dal sistema immunitario. Ne consegue un’attivazione generica del sistema immunitario che ha il potenziale negativo di scatenare patologie autoimmunitarie nell’organismo. Una risposta che, proprio perché in qualche modo generica, non è sempre efficace contro il tumore”. Secondo l’esperto, “questo è forse uno dei motivi per cui l’immunoterapia ha avuto finora successi limitati nelle forme tumorali meno immunogene, come il tumore della mammella. I vaccini terapeutici, invece, mirano a scatenare una risposta immunitaria altamente specifica contro il cancro, in teoria potenzialmente più efficace e con meno effetti collaterali”.
Farmaci: studio “disegna” i nanovettori ideali per trasportarli al bersaglio
