Rivoluzione digitale: la tecnologia crea posti di lavoro e non li distrugge

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Fino a qualche mese fa ci si limitava a dire che si stava iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel. Ora invece si può affermare candidamente che sì, finalmente l’Italia sta uscendo dalla crisi finanziaria che l’ha colpita a partire dal 2008. Il dato Istat relativo ai posti vacanti, per la prima volta a partire dal 2010, è arrivato a quota 0,9%, a conferma che sì, il nostro mercato del lavoro sta effettivamente conoscendo un aumento di posti retribuiti. «Ma un aumento dei posti vacanti, pur essendo un dato generalmente positivo, potrebbe stare ad indicare anche uno squilibrio nascente tra domanda e offerta di lavoro» ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO della società di selezione del personale  Adami & Associati, aggiungendo che «potrebbe essere inoltre un dato davvero positivo solo per una determinata tipologia di lavoratori e non per altre». Effettivamente, dopo questi lunghi anni di recessione economica, durante i quali migliaia di posti di lavoro sono stati persi, il mercato del lavoro è profondamente cambiato.  Quelli che stiamo imparando a conoscere oggi attraverso i vari report dell’Istat, infatti, sono dei trend del tutto nuovi, i quali talvolta sembrano cozzare un con l’altro. E come ha voluto sottolineare l’head hunter Carola Adami, la ripresa potrebbe essere maggiormente favorevole, almeno in un primo tempo, solamente per alcune determinate tipologie di professionalità. Tale dato sembra essere confermato dalle rilevazioni Istat, le quali dimostrano come questa lenta ripresa sia concentrata per lo più nello sbocciare di nuovi posti ‘esecutivi‘, quali lavori per operai semplici, camerieri e corrieri. Superando dunque la ricerca di personale qualificato, rispetto al 2008 la richiesta di lavoratori non qualificati è salita del 23,5%, dando il via ad una vera e propria polarizzazione occupazionale. «I dati Istat sembrano confermare che, all’uscita della crisi, l’impatto tecnologico sul lavoro non è assolutamente drammatico come qualcuno lo ha voluto dipingere negli ultimi anni» ha commentato Carola Adami. «Se infatti è stato spesso detto che la crescente automazione e la digitalizzazione dei processi produttivi avrebbero portato alla perdita di posti di lavoro nelle professioni routinarie e non qualificate, i dati relativi all’ultimo decennio sembrano anzi confermare il contrario». Proprio quella temuta rivoluzione digitale potrebbe essere invece quella spinta in più per uscire del tutto dalla crisi del lavoro. Se da una parte l’automazione non sembra scalfire l’occupazione dei lavoratori meno qualificati, è altrettanto vero che le assunzioni di personale con titoli di studio legati alla digital innovation stanno aumentando. Stando ai dati resi pubblici da Confartigianato, tra luglio e settembre ci sarebbero state circa 117.650 assunzioni di professionisti con competenze dell’ambito dell’innovazione tecnologica. «Da una parte, dunque, l’automazione non sembra aver scalfito l’occupazione non qualificata, mentre dall’altra tutti quanti sono concordi nell’affermare che la rivoluzione digitale richiede in ogni caso un sempre maggiore sviluppo di competenze» ha spiegato Adami. A fare parzialmente luce su quello che sembra un paradosso concorrono le rilevazioni dell’Istat relative ai cambiamenti occupazionali dal 2011 ed oggi: se sono in forte aumento le professioni non qualificate, che segnano un +268 mila, lo stesso e più si può dire anche per le professioni qualificate relative alle attività commerciali e ai servizi (+403 mila) e per le professioni intellettuali, di elevata specializzazione e scientifiche (+330 mila). A perdere inesorabilmente terreno a partire dagli anni centrali della crisi economica sono invece gli agricoltori, gli operai specializzati e gli artigiani (-579 mila).

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