Il primo allarme lo lanciarono nel 1992, con un appello sottoscritto da 1.700 firmatari, tra cui molti premi Nobel. Ma a 25 anni di distanza i risultati ottenuti per ridurre l’impatto negativo dell’uomo sul pianeta sono molto pochi. Ecco perche’ oggi 15.000 ricercatori, dell”Unione degli Scienziati Preoccupati’ di 184 Paesi, lanciano sulle pagine della rivista Bioscience un secondo allarme, accompagnato dall’hashtag #ScientistsWarningtoHumanity, perche’ si agisca prima che i danni siano irreversibili. L’iniziativa, promossa da William Ripple dell’Oregon State University e Thomas Newsome dell’universtia’ di Sydney, e’ diventata virale sui social e ha probabilmente raccolto il maggior numero di adesioni mai visto ad una pubblicazione scientifica.
Il quadro delineato dagli esperti e’ a tinte fosche: delle 9 aree indicate nell’appello del 1992 su cui era necessario intervenire, l’unico miglioramento consistente registrato e’ nell’aver fermato la crescita del buco dell’ozono, oltre ad un aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, il calo della fertilita’ e deforestazione in alcune aree.
Si e’ avuta pero’ una riduzione del 26% dell’acqua disponibile per persona, una diminuzione dei pesci non d’allevamento, una crescita del 75% del numero di zone morte nell’oceano e la perdita di circa 121 milioni di ettari di zone boschive, convertite all’agricoltura. “Presto sara’ troppo tardi per cambiare le cose e il tempo sta per finire – dicono gli esperti -. Possiamo fare grandi progressi per il bene dell’umanita’ e del pianeta da cui dipendiamo”.