Gemelle siamesi separate al Bambin Gesù: ecco come Facebook e le stampanti 3D hanno contribuito al successo

MeteoWeb

C‘è anche Facebook e ci sono le stampanti 3D – oltre alle competenze professionali, all’organizzazione sanitaria e alla tecnologia prettamente medica – tra le chiavi del successo della separazione delle due gemelline SIAMESI di 17 mesi, arrivate dall’Algeria fino al Bambino Gesù di Roma dove sono state divise dopo 11 mesi di preparazione con un intervento di 10 ore eseguito da un’équipe di 40 persone. Sul social network, infatti, i genitori hanno conosciuto l’ospedale italiano e sono stati incoraggiati nel loro progetto di viaggio e aiutati da un’associazione algerina.

Le stampanti 3D, invece, hanno consentito di ricostruire, sulla base di migliaia di immagini radiografiche, la dettagliatissima anatomia delle bambine, unite per il torace e l’addome, sulla quale è stato ‘disegnato’ l’intervento illustrato oggi dall’ospedale pediatrico. Un’intervento complicatissimo in cui è stato necessario cercare anche soluzioni pratiche innovative. La pelle delle piccole, infatti, è stata fatta crescere, per permettere di ‘riparare’ tutta la zona dell’intervento, grazie a un espansore che è stato impiantato per diversi mesi.

Questo ha reso necessario tenere le bambine in due culle speciali, “due ‘conchiglie sospese’ messe a punto ad hoc da un laboratorio che le ha donate all’ospedale”, ha raccontato Mariella Enoc, presidente dell’ospedale, sottolineando il lavoro e la passione ‘corale’ del personale del Bambino Gesù, che ha sostenuto l’intervento in forma solidale. “Solo quest’anno abbiamo operato 100 bambini come casi umanitari – ha evidenziato – Investiamo molto in questo, non solo in risorse economiche, ma anche e soprattutto in umanità e passione. Noi ospitiamo i genitori, abbiamo 150 mediatori culturali per poter comunicare con loro, persone che spesso non parlano che la loro lingua, e si tratta anche di dialetti africani. Devo dire grazie a tutto il personale perché non si tira mai indietro”.

Nel caso delle gemelline algerine Rayenne e Djihene, durante le cure e nel corso dell’operazione i medici hanno adottato un ‘trucco’ per identificare i materiali, il personale, i farmaci, i tubicini delle febo e i vari strumenti utilizzati per ogni singola bambina. Per ognuna è stato scelto un colore e tutti gli strumenti sono stati anche numerati. E a costruire l’innovativo percorso che ha portato all’intervento ha contribuito anche un’architetto con la passione per ‘il camice’ (si sta laureando anche in Medicina), Luca Borro, ricercatore del Settore innovazione percorsi clinici dell’ospedale, che ha fornito supporto tecnico ai medici in questi 11 mesi di lavoro, realizzando i modelli in 3D che hanno permesso di dimezzare da 20 a 10 ore il tempo di intervento.

“Ci piace pensare al Bambino Gesù come all’ospedale dei bambini del mondo. Da alcuni anni ormai – ha aggiunto la presidente Enoc – siamo impegnati a condividere la capacità di cura con i Paesi che hanno più bisogno di affiancamento e solidarietà, e sono sempre di più quelli che chiedono interventi di assistenza e formazione del personale. Ma sono tanti anche i bambini, come Rayenne e Djihene, che arrivano qui per affidarsi alle mani competenti dei medici e del personale del Bambino Gesù. Risultati come quello che presentiamo oggi – ha concluso – premiano la grande professionalità che quotidianamente viene spesa al servizio dei piccoli e lasciano intravedere la generosità e il cuore che l’accompagnano sempre. Siamo molto orgogliosi che l’una e l’altra costituiscano il ‘marchio di fabbrica’ del Bambino Gesù”.

Condividi