Disturbi del sonno, molto diffusi tra gli adulti e ancora di più tra gli anziani. Non solo la difficoltà nell’addormentarsi, ma anche il sonno poco costante, che li porta a svegliarsi tre, quattro volte o anche di più nel cuore della notte o ad alzarsi alle cinque del mattino, nonostante non debbano andare a lavorare.
I numeri non mentono: oltre dieci milioni gli anziani con un disturbo del sonno. Un problema, come spiegano gli esperti in occasione del 62.esimo Congresso nazionale della Società italiana di gerontologia e geriatria, a Napoli (fino al 2 dicembre), non è tanto che gli anziani dormono troppo poco, come si credeva in passato, quanto piuttosto che dormono male.
Un riposo non ristoratore che però ha motivi diversi nei due sessi: gli uomini si svegliano perché devono andare in bagno (73% contro il 57% delle donne), le donne invece hanno sonni agitati da pensieri, ansie e preoccupazioni (complessivamente il 90% contro il 66% degli uomini). Lui spiegano – spesso non si addormenta perché ha mangiato un po’ più del dovuto (7% contro 2% delle donne), lei perché lotta contro un dolore che non dà tregua (8% contro 5%).
“Dopo i 65 anni la quantità di sonno necessaria a stare bene si riduce sensibilmente e fisiologicamente: se da adulti non bisogna scendere sotto le 6 ore a notte e in media se ne devono dormire 7-9 per stare bene, in un anziano si può scendere a 5 ore senza ripercussioni – spiega Raffaele Antonelli Incalzi, presidente eletto Sigg – Con l’andare degli anni poi la sincronizzazione dell’orologio biologico con il ciclo luce-buio si indebolisce e capita più spesso di appisolarsi anche di giorno: il numero totale di ore di sonno perciò di fatto non cambia molto, ma la percezione è un declino del benessere perché restare svegli a lungo di notte è spiacevole e il sonno notturno è più riposante”.
“Per tornare a dormire bene occorre prendere piccole precauzioni e sfatare alcune leggende metropolitane – osserva Nicola Ferrara, presidente Sigg e ordinario di Medicina interna e geriatria dell’Università Federico II di Napoli – Innanzitutto, può essere necessario rivedere le terapie in corso: molti farmaci possono compromettere il sonno direttamente, perché impattano sulla sua struttura come i beta-bloccanti usati per esempio per l’ipertensione, o indirettamente perché provocano risvegli, come i diuretici. Altri medicinali che inducono sonnolenza sono poi per esempio gli antidepressivi, gli antiepilettici e gli anti-Parkinson, alcuni decongestionanti e corticosteroidi; inoltre, alcuni di questi possono anche indurre incubi, allucinazioni notturne, alterazioni del sonno Rem. Una valutazione attenta delle terapie in corso con un’eventuale modifica delle stesse può a volte essere risolutiva”.
“La melatonina – aggiunge Ferrara – può aiutare in alcuni casi, mentre non ci sono prove dell’efficacia della valeriana; per indurre l’addormentamento e il mantenimento del sonno sono utili le benzodiazepine, ma devono essere gestite sotto controllo medico perché possono dare effetti collaterali tutt’altro che secondari nell’anziano, come l’incremento del rischio di cadute. Anche uno stile di vita corretto aiuta a dormire meglio: mangiare i carboidrati alla sera facilita il sonno, così come fare una buona attività fisica per almeno 30-40 minuti a giorni alterni, scegliendo magari discipline come il tai-chi che si sono dimostrate utili per prevenire l’insonnia e mantenere un buon ritmo del sonno”.
“L’importante è non trascurare mai un disturbo del sonno, perché può essere la spia o la prima manifestazione di altre patologie: i disturbi del comportamento nel sonno predicono l’insorgenza di demenza o Parkinson, l’insonnia è un fattore di rischio per la depressione, le gambe senza riposo sono correlate a un incremento consistente della mortalità. Un breve questionario sul sonno dal medico di famiglia – conclude – può spesso bastare a capire se ci siano criticità da indagare meglio, anche e soprattutto per ritrovare una buona qualità di vita attraverso un riposo finalmente ristoratore”.