Terremoti, davanti all’Etna c’è una zona di deformazione: “Può causare scosse e allontanerà la Sicilia dall’Italia”

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“Si sapeva che la Sicilia, soprattutto la parte ionica, fosse predisposta ad un’attivita’ vulcanica e sismica. La novita’ di questo studio e’ di aver identificato una zona di deformazione, cioe’ una struttura di faglie in mare, in profondita’, davanti l’Etna, che prima non era nota. E ora puo’ essere monitorata“. E’ il commento all’Ansa di Luca Cocchi, ricercatore dell’Ingv, tra gli autori della ricerca condotta dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Bologna, insieme all’Universita’ di Parma, all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e al Geomar (Kiel, Germania) e pubblicata su Nature.

Lo studio conferma un lento, ma progressivo  allontanamento della Sicilia dal resto della Penisola e lo fa attraverso l’identificazione di un sistema di faglie profonde. “Prima di questo studio – dice Cocchi – quello che succedeva in mare era sconosciuto. Lo studio ci ha permesso di conoscere l’aspetto tettonico di tutta l’area“.

Quello che ci ha permesso di vedere e capire in dettaglio ciò che accade nelle profondità del Mar Ionio è stato l’approccio metodologico innovativo – spiega ancora Cocchi – si sa che la Sicilia, soprattutto la sua parte ionica, è predisposta ad un’attività vulcanica e sismica. La novità apportata da questo studio è stata quella di identificare una zona di deformazione, cioè una struttura di faglie in mare, in profondità, davanti l’Etna, che prima non era nota”.

Prima di questo studio quello che succedeva in mare era sconosciuto – precisa il ricercatore – lo studio ci ha permesso di conoscere l’aspetto tettonico di tutta l’area. In questa zona è stato identificato un sistema di faglie, una zona di deformazione continua, ampia e lunga, che ha avuto anticamente una sua attività e che è difficile capire se si riattiverà o meno. Tutto questo dà luogo a un sistema di separazione molto lento, iniziato molto tempo fa e che continua tutt’ora. Perché questa è una struttura che si deforma lentamente, ma non e’ distruttiva”.

Una scoperta importante, quindi, arrivata grazie alle sinergie di un gruppo di ricercatori che ha messo a punto un indagine multidisciplinare coadiuvata da nuove strumentazioni e navi di nuova generazione. “Tutto questo – conclude Cocchi – ci ha permesso di mettere insieme i dati raccolti nel corso di dieci anni di attività di ricerca”.

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