Una stimolazione elettrica, al momento giusto, sul lato sinistro del cervello e in grado di migliorare “in modo affidabile e significativo” l’apprendimento e le prestazioni della memoria fino al 15%. A scoprirla è stato un gruppo di neuroscienziati statunitensi dell’University of Pennsylvania, autori di uno studio pubblicato su ‘Nature Communications’. E’ la prima volta che viene stabilita una tale connessione, spiegano i ricercatori che considerano i risultati del lavoro un passo avanti verso l’obiettivo posto da un progetto – Restoring Active Memory (Ram) – sponsorizzato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti con l’ambizione di sviluppare tecnologie di nuova generazione per aiutare i veterani alle prese con perdita di memoria.
“Il nostro studio ha due aspetti nuovi -sottolinea Youssef Ezzyat, senior data scientist nel Dipartimento di psicologia della School of Arts and Sciences della Penn e autore principale dell’articolo-. Da un lato abbiamo sviluppato un sistema per monitorare l’attività cerebrale di una persona e innescare la stimolazione in modo reattivo in base a questa attività. Dall’altro, abbiamo identificato un nuovo obiettivo per l’applicazione della stimolazione, la corteccia temporale laterale sinistra”.
In precedenti lavori del team -guidato da Michael Kahana, professore di psicologia e ricercatore principale del programma Ram, e da Daniel Rizzuto, direttore della neuromodulazione cognitiva – gli impulsi elettrici venivano erogati a intervalli regolari, indipendentemente dal successo di un soggetto nei compiti di apprendimento che venivano dati. In questo caso, la stimolazione non era in risposta a specifici schemi di attività cerebrale. Nel nuovo studio, invece, i test hanno virato verso il monitoraggio dell’attività cerebrale in tempo reale durante un’attività.
Quindi, mentre la persona osservava e tentava di memorizzare un elenco di parole, un computer tracciava e registrava i suoi segnali cerebrali, faceva delle previsioni basate su questi e sollecitava un impulso elettrico (a livelli di sicurezza e non percepito dai partecipanti) con una tempistica precisa, solo quando i protagonisti del test erano meno propensi a ricordare le nuove informazioni. Quando dunque il sistema prevede un apprendimento inefficace, riepiloga Ezzyat, stimola un intervento, chiude il ciclo e si mette di nuovo in ascolto dell’attività cerebrale del soggetto, in attesa della successiva opportunità appropriata di generare l’impulso.
Lo studio ha coinvolto 25 pazienti neurochirurgici in terapia per l’epilessia, reclutati in diversi centri clinici del Paese, dall’ospedale dell’ateneo della Pennsylvania alla Mayo Clinic. Tutti i partecipanti allo studio avevano già elettrodi impiantati nel cervello come parte del trattamento per la patologia.
“Sviluppando modelli di ‘machine learning’ personalizzati, a misura di ciascun paziente, abbiamo potuto programmare il nostro stimolatore affinché fornisse gli impulsi solo quando si prevedeva che la memoria avrebbe fallito”, chiarisce Kahana.
Obiettivo: sfruttare le migliori chance di ripristino. Anche in considerazione di quanto emerso da precedenti lavori secondo cui “stimolare il cervello durante i periodi di buon funzionamento avrebbe probabilmente peggiorato la memoria”. Gli scienziati sono convinti che i risultati dello studio avvicinino sempre di più alla meta, rappresentata da un sistema di monitoraggio e stimolazione neurale completamente impiantabile. Con potenziali benefici terapeutici per le persone con lesioni cerebrali da trauma o con morbo di Alzheimer.
“Ora sappiamo più precisamente dove stimolare il cervello per migliorare le performance nei pazienti con disturbi della memoria – riflette Rizzuto – nonché quando stimolare per massimizzare l’effetto”. E correggere la traiettoria con una ‘scossa’ nel momento preciso in cui “il cervello sembra andare fuori rotta”, conclude Michael Sperling, ricercatore clinico dello studio al Thomas Jefferson University Hospital, evidenziando anche la disponibilità offerta dai pazienti arruolati nello studio nella speranza che “altri possano essere aiutati”.