Aziende combustibili fossili: a rischio 1.600 miliardi entro il 2025

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Un nuovo rapporto del think tank finanziario Carbon Tracker Iniziative rivela che le aziende produttrici di combustibili fossili rischiano di sprecare 1.600 miliardi di dollari entro il 2025, se ignorano la transizione energetica verso un basso consumo di carbonio e investono troppo in progetti marginali relativi a petrolio, gas e carbone. Il rapporto ha l’obiettivo di promuovere un mercato globale dell’energia guardando alla situazione climatica.

Esso considera uno scenario di aumento medio della temperatura globale di 1,75 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale proposto dalla Agenzia internazionale dell’energia (Iea), rispetto ai 2 gradi – ma preferibilmente 1,5 – indicati dall’accordo di Parigi sul clima del 2015.

Il think tank avverte che il business degli investitori è a rischio se segue la politica sulle emissioni di gas serra già annunciata dai governi, che guardano ad un aumento medio della temperatura di 2,7 gradi, piuttosto che scegliere di rispettare gli obiettivi climatici di Parigi. Carbon Tracker ha confrontato la domanda di combustibili fossili in un mondo con un aumento medio della temperatura di 1,75 gradi e in uno a 2,7 gradi e la produzione di petrolio, gas e carbone al 2035 e gli investimenti al 2025. Il risultato è stato che per il petrolio sarebbero a rischio 1.300 miliardi di dollari perché nuovi investimenti in sabbie bituminose saranno antieconomici e solo una piccola parte di potenziali nuovi investimenti nell’Artico e nel petrolio pesante andrà avanti.

Per il gas sono a rischio 228 miliardi di dollari perché la metà delle potenziali spese future per lo sviluppo del gas europeo potrebbe essere antieconomica e non ci sara’ bisogno di una nuova capacita’ di gas naturale liquefatto (GNL) per un decennio. Quanto al carbone, il rischio è quantificato in 62 miliardi di dollari. Nessuna nuova miniera di carbone sara’ redditizia, tranne che in India, secondo il think tank. Infine, gli investitori privati sono più a rischio delle società statali, perché l’88% della spesa riguarda progetti di petrolio e gas non necessari.

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