Il dibattito sul fine vita dei neonati affetti da gravi patologie e l’accanimento terapeutico sono temi su cui l’opinione pubblica si è molto interrogata soprattutto negli ultimi tempi e che la Società italiana di neonatologia (Sin) affronta quotidianamente. I neonatologi, infatti, sono insieme ai ginecologi e ostetriche, i primi ad essere coinvolti nelle decisioni che riguardano questi bambini, che generalmente passano dalla sala parto direttamente nelle Terapie intensive neonatali (Tin).
È il caso ad esempio del piccolo Charlie Gard, il bambino inglese colpito da una rara malattia genetica e tenuto in vita artificialmente sin dalla nascita, una vicenda che, mesi fa, ha riaperto il dibattito a livello internazionale. I neonatologi si trovano subito davanti alla scelta se effettuare o meno trattamenti intensivi e allo stesso tempo, per la natura propria della professione medica, sono riluttanti ad accettare l’idea di non fare tutto il possibile per far andare avanti la vita.
Quando ciò non è possibile e il piccolo ha la speranza di sopravvivere solo pochi giorni è opportuno adottare le Cure palliative (Comfort care), una pratica che si è diffusa anche in Italia, che consiste in un percorso di accompagnamento e preparazione della famiglia alla morte del neonato.La prima scelta, spiega la Società italiana di neonatologia, avviene in sala parto, dove i medici sono chiamati a prendere una decisione in tempi molto stretti sulla base di poche informazioni: l’età gestazionale incerta; senza la disponibilità di dati anamnestici e clinico/strumentali; senza poter consultare immediatamente i genitori, e in assenza di raccomandazioni a livello locale o istituzionale.
Poi si sposta nella Terapia intensiva neonatale (Tin), dove tra le problematiche etico-cliniche più rilevanti vi è senz’altro quella del rischio dell’accanimento terapeutico, legato alle caratteristiche cliniche delle situazioni che in questo ambito vengono affrontate, e che rendono non semplice l’individuazione del confine tra l’assistenza intensiva utile e quella futile. La ricerca di tale confine può essere attuata in sala parto, anche se ciò è molto difficile e richiede un’organizzazione pre-partum del centro nascita che quasi mai è realizzabile, oppure nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale.
È in tale unità operativa che, sulla base del decorso clinico, con la possibilità di esami strumentali e di monitoraggi specifici e, soprattutto, con la collaborazione attiva di tutto il personale del reparto (medico e infermieristico) può essere più agevole capire cosa fare. La Società italiana di neonatologia (Sin) ritiene che sia ‘fondamentale mantenere alta l’attenzione su questo tema, sia a livello normativo sia nella prassi professionale, affinché ogni medico possa fare da un lato tutto ciò che serve per mantenere in vita il neonato e dall’altro creare le condizioni per accompagnare i genitori e la famiglia verso la fine della vita, attraverso un percorso di Comfort care’.
LA SITUAZIONE NEGLI ALTRI PAESI. Diversamente da com’è accaduto in Gran Bretagna, in Italia non è legale decidere l’interruzione della vita, né da parte della famiglia, né degli operatori sanitari. I medici sono chiamati ad effettuare tutte le pratiche di assistenza intensiva indipendentemente dalla qualità futura della vita, dalle ripercussioni di queste sui neonati e dal rapporto costi/benefici.
Negli ultimi anni numerose raccomandazioni e linee guida sono state elaborate da diverse istituzioni in molti Paesi, ma tra di essi non c’è accordo sull’approccio verso i neonati affetti da gravi patologie. L’American Academy of Pediatrics, ad esempio, prevede di non intraprendere le manovre rianimatorie in neonati di EG < 23 settimane o peso < 400 g e interrompere le manovre dopo 10 minuti di mancata ripresa del circolo; reputa fondamentale l’informazione dei genitori prima e dopo la nascita e in tutti i casi la decisione di non iniziare o interrompere il trattamento intensivo deve essere accompagnata dalla ‘Comfort care’.
In Inghilterra il Nuffield Council on Bioethics, dal 2006 ha emanato un documento ‘Critical care decisions in fetal and neonatal medicine’ che prevede di non effettuare alcun intervento rianimatorio sotto le 23-24 settimane di età gestazionale e nei casi in cui non viene iniziata la terapia intensiva, i medici devono assicurare le cure palliative (Comfort care) fino al decesso del paziente. Sotto le 22 settimane di gestazione, nessun neonato deve essere rianimato.
E in Italia? La legislazione italiana (legge 194 del 1978) non consente di astenersi dall’intraprendere la rianimazione, o di sospenderla, sulla base di valutazioni in ordine alla qualità o al valore della vita. Per i medici valgono le ‘Raccomandazioni assistenziali’ del Consiglio Superiore di Sanità del 2008 secondo cui ‘al neonato, dopo averne valutate le condizioni cliniche, sono assicurate appropriate manovre rianimatorie, al fine di evidenziare eventuali capacità vitali, tali da far prevedere la possibilità di sopravvivenza, anche in seguito ad assistenza intensiva’.
Nei casi in cui le cure non risultino utili e ‘l’evoluzione clinica dimostrasse che l’intervento è inefficace, si dovrà evitare che le cure intensive si trasformino in accanimento terapeutico’. A questi piccoli, anche quando si verificano le condizioni terminali ‘saranno comunque offerte idratazione ed alimentazione compatibili con il quadro clinico e le altre cure compassionevoli, trattandolo sempre con atteggiamento di rispetto, amore e delicatezza’.
Le raccomandazioni prodotte dal Ministero della Salute e dal Comitato Nazionale di Bioetica danno, comunque, indicazioni per un approccio individualizzato legato alla valutazione del singolo caso.Dal 2008 ad oggi, tra i documenti pubblicati sul tema vi è la Carta di Trieste, anche conosciuta come Carta dei diritti del bambino morente, elaborata tra il 2012 e il 2014 da un gruppo di medici, psicologi e operatori socio-sanitari che teorizza l’importanza e l’impegno della società civile di sostenere ‘dal punto di vista medico, psicologico e spirituale il bambino e il suo nucleo familiare, quando è vicino alla fine della vita, una realtà contro natura e, di fatto, difficile da accettare’. Sono del 2016, invece, le Linee Guida per la Prevenzione ed il Trattamento del Dolore nel Neonato della Sin, redatte dal Gruppo di Studio di Analgesia e Sedazione nel Neonato, che affrontano l’Approccio alle Cure Palliative Perinatali.
LE CURE PALLIATIVE PERINATALI (COMFORT CARE). Dove non è possibile curare per guarire, è doveroso salvaguardare la qualità della vita, per breve che sia e aiutare i familiari ad affrontare la morte del loro bambino attraverso il percorso delle Cure Palliative, un insieme di azioni volte a preparare, laddove è possibile, accompagnare e sostenere, anche dal punto di vista psicologico, i genitori, la famiglia e il neonato stesso verso la morte. Una realtà veramente difficile da accettare, anche per i medici.
Nell’esperienza di attendere un neonato in condizioni ‘incompatibili con la vita’ (come si definisce in termini medici) grande attenzione è posta alla programmazione di protocolli per il controllo del dolore neonatale nonché per soddisfare le esigenze basilari del neonato (alimentazione, idratazione e riscaldamento) e della puerpera (logistica confortevole, possibilità di assistenza da parte di membri della famiglia). A tutte le coppie dovrebbe essere garantito il rooming-in del neonato con assistenza continua ma discreta da parte del personale che condivide con la famiglia la Comfort care (marsupio terapia, massaggio neonatale ecc.).
‘Sarebbe utile istituire in ogni centro Tin un ‘hospice perinatal’ con il compito di creare un percorso plurispecialistico, che accompagni i genitori dalla diagnosi al decesso e che si avvalga di un team multispecialistico dedicato, di spazi riservati all’espletamento delle cure palliative perinatali e di specifici protocolli di cura e trattamento dei sintomi. In Italia sono ancora poche le strutture in cui è stato avviato un progetto di Perinatal Hospice ma tutti i centri nascita di III livello, dov’è presente la Tin, stanno predisponendo iniziative volte a garantire il trattamento di questi piccoli pazienti’, spiega la Società italiana di neonatologia.
In queste situazioni, per i neonatologi, è fondamentale non violare mai la dignità della persona che soffre e che va incontro ad un evento connaturale all’uomo come la morte, e preservare la famiglia da ingannevoli aspettative che potrebbero produrre ulteriore difficoltà all’accettazione della fine vita del loro bambino.
LE LINEE GUIDA DELLA SIN SULLE CURE PALLIATIVE PERINATALI. All’interno delle Linee Guida della Società Italiana di Neonatologia per la Prevenzione ed il Trattamento del dolore del neonato, sono previste le raccomandazioni per le Cure Palliative (Comfort care). Le cure palliative sono intese come interventi non curativi, volti a soddisfare i bisogni fisici, emozionali, sociali, culturali e spirituali del neonato e dei suoi genitori. Comprendono tutti quegli interventi che servono a trattare al meglio una situazione che non può essere più guarita, nel miglior interesse del bambino.
Nell’ambito delle cure palliative neonatali due sono le situazioni contemplate: 1. la decisione di non rianimare il neonato alla nascita: casi in cui la diagnosi prenatale è certa circa l’incompatibilità della patologia; 2. la verificata situazione clinica irreversibile con una vita prolungata, quando le cure intensive non danno reali benefici perché atte solo a posporre transitoriamente la morte con ulteriore sofferenza.In entrambi i casi, ai genitori devono essere date informazioni riguardanti la diagnosi e la prognosi, fornite in modo chiaro e semplice, spiegando il tipo di cure che verranno offerte al loro bambino nel suo migliore interesse. Qualora i genitori non parlino l’italiano, bisognerà richiedere sempre il mediatore culturale.
Va lasciato spazio ai genitori affinché esprimano le loro preoccupazioni, i loro dubbi e le loro volontà su quanto prospettato ed in modo che possano condividere appieno le cure proposte, anche attraverso colloqui ripetuti.Conclude il comunicato della Società italiana di neonatologia: ‘Al neonato è necessario fornire calore, un contatto fisico (holding), un supporto nutrizionale adeguato, sedazione e controllo del dolore. Deve essere fornito un ambiente termoneutrale, per cui, se dato in braccio ai genitori, deve essere avvolto in teli riscaldati e/o vestito con cappellino e scarpette di lana, per ridurre la dispersione termica. Può essere offerto al genitore di contenerlo, rendendo disponibile un ambiente idoneo alla situazione, come una saletta appartata del reparto, nel rispetto della privacy.
I genitori vanno comunque informati in anticipo della morte imminente, in modo che abbiano il tempo di stare con il proprio bambino e, ove possibile, dovrebbero essere lasciati con il loro bambino fino a quando lo desiderano, anche con altri parenti. Dovrebbe essere, inoltre, data l’opportunità di portarsi un ricordo del bimbo, che può essere la foto, il cartoncino identificativo posto al letto del paziente, l’impronta di un piedino o altri oggetti appartenuti al bambino (memory box). Senza un ricordo, senza un’immagine, senza una rappresentazione del bambino, l’elaborazione del lutto potrebbe essere più difficoltosa. Bisognerà provvedere affinché vengano accolti i desideri dei familiari di carattere religioso, culturale e sociale’.