Italiani in cucina: più etnico e km zero

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I consumatori italiani si dividono a tavola in due popolazioni, da un lato chi cerca nuove esperienze sperimentando le cucine di altri Paesi sia al ristorante sia tra le mura domestiche cimentandosi ai fornelli; dall’altro chi del prezzo e’ costretto a fare una discriminante basandosi su offerte e discount.

Se ne e’ parlato a Linkontro, evento annuale che Nielsen Italia organizza in Sardegna, quest’anno a Santa Margherita di Pula, per analizzare trend e futuro del largo consumo.

“Una parte di consumatori guarda principalmente al prezzo, differenziando anche i luoghi di acquisto, non ha ne’ i mezzi ne’ la cultura della sperimentazione alimentare. Un’altra parte vuole sperimentare in cucina, compra la burrata dal casaro e si indirizza sull’offerta ‘premium’ della grande distribuzione dai ‘Gourmet Carrefour’ al Viaggiatore Goloso di Unes, a Ete’ di Vege’, cercando nuovi prodotti – spiega Giorgio Santambrogio, presidente di Adm (Associazione distribuzione moderna) – e l’offerta deve adeguarsi”.

Sopratutto i millennials scelgono di cucinare una cena a base di Falafel libanesi o di Guacamole messicana e la domanda di ingredienti etnici sugli scaffali cresce seguendo le nuove culture alimentari. “Attenzione pero’ – aggiunge Santambrogio – non sempre il contadino e’ migliore se guardiamo a sicurezza e qualita’. Se vogliamo i prodotti a km zero sugli scaffali devono essere a filiera certificata e corretta catena del freddo”. Sono 14 milioni gli italiani che scelgono di provare la cucina etnica e continuare a farlo, ma all’aperitivo e al digestivo prevale l’italianita’.

“Notiamo – afferma Leonardo Vena, ad di Amaro Lucano – la tendenza dei locali etnici che aprono con banco bar, come messicani, giapponesi, vietnamiti o hawaiani, ad utilizzare amari italiani per miscelare i cocktail e i consumatori a berlo liscio come dopo pasto”.

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