Il food invade la TV e domina il web, rivoluzionando la nostra relazione con il cibo e le scelte alimentari. Una grande mole di informazioni ‘a portata di click’, sempre più emozionali, improntate ai concetti di bellezza e salutismo ad ogni costo, dominate da falsi miti e soluzioni prive di evidenze scientifiche che mettono a rischio la salute dei cittadini. Anche perché 7 italiani su 10 mostrano uno scarso livello di alfabetizzazione alimentare, nel 19% dei casi addirittura inadeguato. A delineare questo scenario è l’ANDID, l’associazione nazionale dei dietisti, nel corso di un evento che si è svolto oggi a Roma, alla presenza di esponenti di istituzioni sanitarie e società scientifiche, per sottolineare l’urgenza di riportare al centro del dibattito pubblico il tema della cultura alimentare, riconducendo il discorso sul cibo su basi scientifiche e di qualità. Un percorso che vede in prima linea i dietisti, i professionisti della salute che si occupano di alimentazione, nutrizione e dietetica a 360 gradi, dalla prevenzione alla cura.
Da un’indagine realizzata da ANDID con l’Università di Messina, che ha analizzato il racconto del cibo sul web, gli italiani, padri della dieta mediterranea, appaiono sempre più confusi e disorientati, focalizzati su un paradigma alimentare che ruota intorno alle calorie e ai singoli nutrienti, piuttosto che su un modello globale di stile di vita. Predomina l’orientamento a una dietetica del sì/no che promuove super-cibi miracolosi o, al contrario demonizza alimenti killer, ma anche una dietetica per slogan che induce al sovra-consumo di alimenti “senza” (grassi, zuccheri, glutine) e “con” (fibre, vitamine), nel tentativo di assecondare l’ossessione del cibo sano e della forma fisica. Uno scenario ancora più preoccupante se si considera che oltre il 70% della popolazione possiede uno scarso livello di alfabetizzazione alimentare, che si traduce nell’incapacità a scegliere correttamente il cibo e comprendere le scelte di consumo, messo in evidenza da un altro studio ANDID su un campione di oltre 1000 italiani. Solo poco più del 4% degli intervistati possiede buone conoscenze nutrizionali. La situazione più critica riguarda gli anziani, anche come riflesso della crisi economica, e in generale i soggetti meno abbienti e con più basso livello di istruzione.
“È solo con la professionalità che si può contrastare la disinformazione e promuovere consapevolezza e responsabilità nelle scelte di salute, anche sfruttando le opportunità offerte dalla Rete. C’è bisogno di veicolare messaggi chiari e comprensibili, in grado di conquistare l’attenzione dei diversi pubblici, per non lasciare vuoti comunicativi e far sì che i cittadini scelgano di affidarsi solo ad interlocutori competenti per orientare i propri comportamenti alimentari”, dichiara Marco Tonelli, presidente ANDID. “I dati emersi dagli studi – prosegue – evidenziano la necessità che l’alimentazione torni ad essere una priorità nelle politiche sanitarie e dell’istruzione, strategia fondamentale per limitare le disuguaglianze e migliorare le condizioni di salute della popolazione, con ricadute positive anche sulla riduzione dei costi sociosanitari”.
L’educazione alimentare e l’adozione di un regime dietetico adeguato rappresentano un’esigenza di salute che non si identifica soltanto con la prevenzione, ma che assume un ruolo centrale anche per la cura di numerose malattie non trasmissibili: i tumori, le malattie renali e metaboliche, il diabete, che rappresentano oggi il principale rischio per la salute individuale, nonché un enorme peso sociosanitario per la collettività. Diversi studi hanno infatti dimostrato che, accanto alla terapia farmacologica e allo stile di vita, un adeguato regime alimentare assume la valenza di una ‘vera e propria terapia’.
“Il dietista, in virtù di un percorso universitario altamente specializzato, è il professionista abilitato ad occuparsi di salute anche in ambito clinico, intervenendo nell’elaborazione dei piani dietetici personalizzati, in sinergia con le altre figure professionali coinvolte nella presa in carico”, afferma Ersilia Troiano, presidente uscente ANDID. “È il caso, ad esempio, del diabete di tipo 2 – continua – rispetto al quale stanno emergendo sempre più evidenze scientifiche sul valore aggiunto dell’intervento dietetico qualificato in termini di miglior controllo della malattia e prevenzione delle complicanze, ma anche di riduzione dei costi di gestione del paziente a carico del servizio sanitario, con la possibilità liberare risorse preziose da reinvestire in sanità”.
Nell’ambito della riflessione, che coinvolge l’intero mondo della salute pubblica, dell’istruzione e dell’università, sulle strategie per ridurre le diseguaglianze e promuovere l’empowerment dei cittadini nelle scelte alimentari, è emersa dall’incontro la necessità di fare chiarezza sui ruoli e le competenze dei diversi professionisti che operano nella vasta e complessa disciplina della scienza della nutrizione.
“Diversamente – conclude il Presidente ANDID – si rischia di generare confusione, in uno scenario comunicativo già di per sé complesso e ipertrofico nei discorsi sul cibo, e di trasmettere una visione semplicistica della nutrizione e della dietetica, con ripercussioni negative sulla salute collettiva. La recente istituzione dell’Ordine e dell’Albo dei dietisti, che completa il riconoscimento giuridico delle professioni sanitarie, va proprio nella direzione di una maggiore tutela dei cittadini, oltre che degli stessi professionisti, contro il proliferare di figure, più o meno qualificate, che si ergono a punti di riferimento nel campo della nutrizione, non di rado inducendo a scelte di salute inadeguate”.
Quanto ne sanno gli italiani di alimentazione?
Alfabetizzazione alimentare scarsa o inadeguata per oltre il 70% degli italiani, che si traduce nel non saper scegliere i giusti alimenti per una dieta sana ed equilibrata, ma anche nell’incapacità a preparare e consumare il cibo. Donne più attente degli uomini; anziani i più esposti a comportamenti a rischio, anche come riflesso della crisi economica: è quanto emerge da una ricerca condotta da ANDID su un campione di oltre 1000 italiani, eterogeneo per genere, età, distribuzione geografica e livello di istruzione, che ha misurato il livello di food and nutrition literacy nel nostro Paese [1].
Alfabetizzazione sanitaria: gli effetti su stili di vita e condizioni di salute
Negli ultimi quarant’anni sono state raccolte numerose evidenze scientifiche sulla correlazione tra health literacy, stili di vita e condizioni di salute. Per health literacy si intende il grado di alfabetizzazione sanitaria, vale a dire la capacità dei cittadini di comprendere e utilizzare le informazioni nel modo più appropriato possibile in termini di salute.
Gli studi hanno dimostrato che ad un più alto indice di alfabetizzazione sanitaria si associano:
- migliori condizioni di salute
- minori limitazioni nello svolgere attività quotidiane
- una maggiore predisposizione ad adottare stili di vita salutari (attività fisica, ridotto consumo di alcol e dipendenza dal fumo) e mettere in atto strategie di prevenzione
- una minore incidenza di malattie croniche
- un minor tasso di ospedalizzazione
- una riduzione dei costi per il sistema sanitario
Non stupisce, quindi, che l’alfabetizzazione sanitaria sia diventata un tema di stringente attualità, dal momento che un rafforzamento dell’health literacy nella popolazione può contribuire a contrastare le disuguaglianze di salute, migliorare la salute individuale e collettiva, e ridurre i costi sociosanitari.
Dalla health literacy alla food literacy: come misurare l’alfabetizzazione alimentare
Sulla scorta delle numerose evidenze scientifiche in materia di health literacy, in anni più recenti i dietisti hanno iniziato a ragionare sul concetto di food and nutrition literacy, vale a dire la capacità dell’individuo di ottenere, interpretare, comprendere e utilizzare le informazioni nutrizionali di base per compiere scelte alimentari appropriate, in grado di incidere positivamente sulla condizione di salute del singolo e dell’intera collettività.
Il progetto di ricerca realizzato da ANDID si è posto l’obiettivo di misurare il livello di alfabetizzazione alimentare, indagando sui suoi determinanti sociodemografici e sulle potenziali ripercussioni sulle condizioni di salute.
L’alfabetizzazione alimentare viene valutata sulla base di tre abilità interdipendenti:
- gestire il rapporto con il cibo;
- selezionare gli alimenti adatti a rispondere efficacemente ai bisogni nutrizionali, minimizzando le ricadute negative delle scelte alimentari a livello ambientale e sociale;
- preparare e consumare gli alimenti, preservandone le caratteristiche nutrizionali e, al contempo, valorizzandone le proprietà organolettiche.
Scarsa alfabetizzazione alimentare, un’epidemia silenziosa
In linea con le evidenze in tema di health literacy, lo studio condotto da ANDID rivela che oltre il 70% degli italiani possiede uno scarso livello di alfabetizzazione alimentare che risulta essere problematico per il 52,5% degli intervistati e addirittura inadeguato – il livello più basso – per oltre il 19%. Meno di una persona su quattro ha conoscenze e competenze sufficienti; soltanto poco più del 4% della popolazione vanta un’alfabetizzazione eccellente.
Tra gli intervistati emerge una diffusa limitata capacità di pianificare e gestire le scelte alimentari (57,2% dei casi) e scegliere correttamente il cibo (66,8% dei casi). Inoltre, il 71,4% del campione dichiara una ridotta capacità di preparare e consumare gli alimenti e difficoltà nella comprensione degli effetti delle scelte di consumo (livello problematico nel 41,4% dei casi, inadeguato nel 30%).
Livelli di alfabetizzazione alimentare problematica e inadeguata sono più evidenti in presenza di specifiche caratteristiche socioeconomiche: la situazione più critica riguarda gli anziani con più di 68 anni (a causa di lacune cognitive, limitata consapevolezza delle conseguenze delle scelte alimentari, difficoltà economiche), le persone con un più basso livello di istruzione, i disoccupati e, in generale, i soggetti meno abbienti (prevalenza dell’abitudine a consumare alimenti oltre la data di scadenza, poco rispetto delle norme igieniche di conservazione e preparazione del cibo, ecc.), dati che sottolineano quanto la conoscenza del cibo problematica sia particolarmente comune tra le persone che soffrono di disuguaglianze sociali.
Ad influire sono anche il genere e lo stato genitoriale: le donne mostrano di possedere, rispetto agli uomini, una maggiore attenzione alla scelta dei cibi e alla loro preparazione, capacità che aumenta ulteriormente nel loro ruolo di mamme. Se lo stato genitoriale è correlato positivamente con il livello di alfabetizzazione, il matrimonio non sembra favorirla. Uomini e donne non sposati mostrano di saper “navigare meglio nel sistema alimentare” e compiere scelte più appropriate.
Promuovere l’empowerment dei cittadini nelle scelte alimentari per ridurre il carico di malattia e i costi sociosanitari
Lo studio ANDID ha fatto emergere una situazione di prevalente alfabetizzazione alimentare problematica che incide negativamente sullo stato di salute del singolo e della comunità, con ricadute significative sullo scenario epidemiologico nazionale. L’analisi fornisce ai referenti politico-istituzionali spunti di riflessione utili per inquadrare le politiche alimentari del futuro che dovrebbero tener conto, ad esempio, dell’opportunità di includere la “questione alimentare” nei programmi didattici della scuola dell’obbligo e l’attuazione di politiche alimentari “su misura” per limitare le diseguaglianze e migliorare la capacità individuale di fare scelte corrette e consapevoli. La riduzione delle disuguaglianze, l’agevolazione della partecipazione dei cittadini ai processi che riguardano la propria salute ha un ruolo cruciale anche in termini di riduzione dei costi sanitari e sociali per la collettività.
[1] Nota metodologica: lo studio è stato condotto su un campione di 1144 soggetti maggiorenni, rappresentativo della popolazione italiana, con distribuzione uniforme a livello territoriale, per età, genere, livello di istruzione, stato civile, stato lavorativo. La rilevazione è avvenuta mediante questionari cartacei (PAPI- Paper And Pencil Interviewing).
Le scelte alimentari ai tempi del web 3.0
Che fine ha fatto la dieta mediterranea, pilastro della tradizione enogastronomica italiana, modello alimentare supportato da solide evidenze scientifiche e riconosciuto dall’Unesco patrimonio immateriale dell’Umanità? È stata anch’essa vittima della “bulimia digitale”, del racconto del cibo contemporaneo fatto sul web e i social, improntato ai concetti di bellezza e salutismo ad ogni costo, declinato nel suo piacere estetico e visuale, dominato da fake news ed erronee convinzioni. Proprio con l’obiettivo di far emergere gli aspetti peculiari del racconto del cibo sui nuovi media, ANDID e l’Università di Messina hanno realizzato un progetto di ricerca che ha coinvolto 50 “dietisti digitali” [1].
Falsi miti e nutrizionismo dilagante “a portata di click”
Cittadini sempre più confusi e disorientati sulle scelte di salute, focalizzati su un paradigma di sana e corretta alimentazione che ruota intorno alle calorie e ai singoli alimenti e nutrienti (quello che gli addetti ai lavori definiscono “nutrizionismo”), piuttosto che su un modello globale di stile di vita.
Ma quali sono le convinzioni errate più diffuse?
- Innanzitutto, l’idea che mangiar sano equivalga a sacrificare il gusto e il piacere della buona tavola, e che quindi seguire uno stile alimentare salutare sia un obiettivo difficile da raggiungere;
- ma anche l’orientamento a una dietetica del sì/no che induce a classificare gli alimenti in “buoni” o “cattivi”, ritenendo che siano i singoli nutrienti ad avere effetti diretti sulla salute (ad es. uova = colesterolo);
- ed infine l’orientamento a una dietetica per slogan che spinge a prediligere gli alimenti nelle loro alternative “senza” (senza grassi, senza zuccheri, ecc.) e “con” (con fibre, con l’aggiunta di vitamine, ecc.), nel tentativo di assecondare l’ossessione del cibo sano (healthy food). Una paranoia cavalcata dal mondo dell’industria e della ristorazione, testimoniata dal dilagare di insegne “vegan”, “kilometro 0” e “senza glutine”, e dall’aumento del consumo di prodotti biologici, vegetariani, dietetici e di supplementi e integratori.
Conseguenza diretta di queste false credenze è lo scollamento tra mangiar sano e credere di mangiar sano. Basti pensare alle varianti “senza olio di palma”, ormai disponibili per numerosissimi prodotti da forno che, rispetto ai loro analoghi convenzionali, hanno un profilo nutrizionale praticamente sovrapponibile, con il risultato però che la dicitura “senza” può indurre chi li acquista ad un sovra-consumo, proprio in virtù del cosiddetto “alone salutare” che li circonda.
Questi nuovi paradigmi, diffusi dai mass media e amplificati dalla Rete, rappresentano i veri antagonisti della corretta informazione ed educazione dei cittadini, per i quali aumenta vertiginosamente il livello di confusione nell’era dell’informazione “a portata di click”.
Il racconto del cibo sul web
Il cibo è diventato uno strumento di storytelling in grado di creare narrazioni multimediali dal forte impatto, anche emotivo. In particolare, i social hanno cambiato la nostra relazione con il cibo, dal modo in cui condividiamo le esperienze conviviali alle strategie di scelta dei ristoranti in cui viverle. L’iperproduzione di discorsi sul cibo trova nel web uno spazio elettivo; proprio di fronte a questa “bulimia digitale”, i dietisti hanno approfondito gli elementi che caratterizzano il racconto del cibo sulla Rete ed il loro contributo per ricondurlo su basi scientifiche e di qualità.
- Il cibo è il nuovo trending topic, associato a una crescita generale di contenuti legati ad alimentazione e stili di vita.
- In particolare, il rapporto tra cibo e social network è basato su due elementi, estetica e relazione: è al tempo stesso qualcosa da esporre (prodotti, ricette), ma anche un collante per la comunicazione e la relazione. I social media rafforzano il senso di comunità attorno ai temi dell’alimentazione che hanno conquistato con successo il pubblico televisivo (viralizzazione degli hashtag lanciati in TV).
- Se da un lato gli utenti sono sempre più interessati alla rappresentazione del cibo, essi appaiono smarriti dinanzi alla grande mole di informazioni, non sempre verificate. I social media, infatti, hanno ampliato l’agorà della salute e della medicina oltre i professionisti sanitari, inserendo nuovi e influenti interlocutori: è il caso, ad esempio, dei food blogger, opinion leader privilegiati di dialogo e confronto sul tema dell’alimentazione.
- Dalla Rete emerge una preoccupante ossessione per la qualità del cibo e la forma fisica. Abitudini sane che possono però trasformarsi in disturbi dell’alimentazione quando si esasperano la ricerca continua del cibo perfetto o dell’allenamento frenetico. A dimostrazione del fatto che l’abbondanza di informazioni e l’infittirsi dei discorsi sull’alimentazione non si traducono automaticamente in outcome di salute, ma rischiano piuttosto di creare fenomeni di falso
Oggi la sfida per i professionisti della nutrizione consiste nel saper rinnovare i propri linguaggi per rispondere al bisogno di un’informazione alimentare “certificata” espresso dagli utenti e gestire le emozioni gastronomiche condivise attraverso i social, in particolar modo su Facebook. L’indagine realizzata da ANDID suggerisce che laddove il dietista riesce ad individuare stili narrativi che coniugano leggerezza ed evidenza scientifica, suggerimenti pratici ed esperienze da mostrare (video, tutorial e gallerie fotografiche), può diventare anch’egli un influencer e avere capacità di orientare interessi e comportamenti alimentari dei suoi follower.
[1] Lo studio è stato promosso da ANDID insieme al Centro universitario per le ricerche sulla sociologia del diritto, dell’informazione e delle istituzioni giuridiche (CIRSDIG) dell’Università di Messina. In una prima fase dello studio, è stata realizzata una mappatura dei siti web, dei food blog e dei social media (Facebook, Twitter, Instagram) utilizzati dai professionisti della salute nutrizionale che hanno mostrato capacità di differenziare gli stili narrativi nella gestione dello spazio della rete. Hanno partecipato 50 dietisti che utilizzano abitualmente la Rete e i social media, offrendo un primo webscape per procedere all’analisi.