Le prime onde gravitazionali emesse dalla collisione di due stelle di neutroni avvenuta il 17 agosto 2017 potrebbero aver stabilito anche un altro primato: la nascita di un mini buco nero con la massa più piccola mai vista, pari a 2,7 volte quella del Sole.
A ipotizzare un legame tra riduzione della radiazione X e nascita di un buco nero è invece il gruppo dell’Università americana Trinity di San Antonio, in Texas, coordinato da Dave Pooley, nella ricerca pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
L’ipotesi è legata a un calo dell’emissione di raggi X osservato dai telescopi XMM Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Chandra della Nasa. A notare per primo questa attenuazione è stato il gruppo italiano coordinato da Paolo D’Avanzo, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), che ha pubblicato i risultati sulla rivista Astronomy & Astrophysics senza fare pero’ riferimento al buco nero.
La fusione di due stelle di neutroni è stata accompagnata per la prima volta da un’emissione luminosa osservata in tutte le lunghezze d’onda, dai raggi gamma fino alle onde radio, segnando l’alba dell’astronomia multimessaggero.
Per questo, dall’agosto 2017 è partita l’analisi dei dati raccolti da oltre 70 telescopi spaziali e terrestri, ancora in corso. In quest’ambito, ha spiegato all’ANSA Paolo D’Avanzo “abbiamo visto che l’emissione di raggi X dopo un iniziale crescendo di 100 giorni si attenua”.
Per i ricercatori italiani però che la sorgente sia un buco nero o una stella di neutroni non è una questione centrale. “Nella nostra ricerca – ha concluso D’Avanzo – ci siamo concentrati su un aspetto diverso: capire se l’emissione sia focalizzata in un unico getto o avvenga in tutte le direzioni”.