Tumori, Niguarda Milano: “Un mix migliora le cure di un raro cancro al sangue”

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Un nuovo protocollo terapeutico contro un tumore raro del sangue, la macroglobulinemia di Waldenstrom, è stato testato in una sperimentazione clinica su scala mondiale che ha coinvolto 45 centri ematologici in 9 diversi Paesi, tra cui l’Italia.

Il trial di fase III, appena pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, è stato condotto su 150 pazienti e l’Ematologia dell’ospedale Niguarda di Milano è fra le realtà che hanno contribuito con il maggior numero di malati arruolati.

I risultati, evidenziano gli autori, sanciscono un miglior esito in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia per il gruppo di pazienti sottoposti alla combinazione terapeutica ibrutinib-rituximab: il primo farmaco appartiene alla classe delle cosiddette ‘piccole molecole’, il secondo rientra nell’ambito dell’immunoterapia ed è un anticorpo monoclonale.

“Negli ultimi anni – spiega l’ematologa di Niguarda Alessandra Tedeschi, tra gli autori della pubblicazione – il panorama terapeutico della macroglobulinemia di Waldenstrom si è radicalmente modificato grazie all’individuazione di un’alterazione genetica che è presente nella quasi totalità dei pazienti affetti dalla patologia, la mutazione Myd-88. Come conseguenza di questa mutazione, le cellule tumorali hanno un vantaggio proliferativo che può essere bloccato da un farmaco bersaglio denominato ibrutinib”.

In base agli studi più recenti, si ritiene che questa neoplasia origini da uno specifico tipo di cellula del sistema immunitario chiamata ‘cellula B memoria’. Ad oggi, spiegano gli esperti, ibrutinib è l’unico farmaco specificamente approvato nel mondo per la macroglobulinemia di Waldenstrom e in Italia è possibile trattare con ibrutinib solo i pazienti che sono incorsi in una ricaduta della malattia o che hanno dimostrato una refrattarietà a una terapia di prima linea (come ad esempio rituximab o la chemioterapia).

L’approvazione del farmaco si è basata sui risultati di un trial condotto in precedenza negli Stati Uniti nel quale erano stati trattati in monoterapia un numero relativamente basso di pazienti.

Lo studio appena pubblicato sul Nejm “innanzitutto prende in considerazione un numero più ampio di pazienti, ma soprattutto è metodologicamente importante dal momento che i pazienti sono stati randomizzati (divisi in due gruppi e assegnati casualmente) fra trattamento con ibrutinib in combinazione a rituximab e pazienti trattati con solo rituximab”, chiarisce Tedeschi.

La combinazione “ha dimostrato di essere molto più efficace sia in termini di risposta sia in termini di sopravvivenza libera da progressione. I risultati a 30 mesi dall’inizio dei trattamenti” segnalano “un tasso di sopravvivenza libera da progressione della malattia pari all’82% per la combinazione ibrutinib-rituximab contro il 28% per la monoterapia (solo rituxumab). La combinazione, inoltre, amplia il tempo di risposta alle terapie per i pazienti che presentano la forma più grave di malattia, quella con alterazione molecolare Cxcr4”.

La macroglobulinemia di Waldenstrom fa parte dei linfomi non Hodgkin a basso grado di malignità. La diagnosi non di rado è occasionale e avviene a seguito di controlli ematici che il paziente effettua routinariamente.

“La malattia, una volta diagnosticata, può rimanere ‘asintomatica’ anche per molti anni – indica l’ematologa – I sintomi più comuni sono quelli tipici di qualsiasi forma di linfoma: ingrossamento della milza o dei linfonodi, sintomi costituzionali come febbre, perdita di peso e sudorazioni profuse la notte”. Inoltre, a causa della presenza di un’elevata quantità di immunoglobuline M circolanti (le IgM, prodotte dalle cellule B), vi possono essere dei sintomi correlati a un incremento della viscosità del sangue.

La terapia deve essere intrapresa solo quando la malattia diventa sintomatica. Alla luce dei risultati del trial, gli esperti si aspettano in tempi non lunghi un’approvazione della terapia con ibrutinib in associazione a rituximab per questa patologia che in Italia registra mediamente ogni anno circa 250 nuovi casi, con i maschi fra i più colpiti e un’età di esordio media di 73 anni. Il Reparto di Ematologia del Niguarda è uno dei poli più attivi nella ricerca su questa particolare neoplasia e segue attualmente 200 pazienti.

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