I dati ISPRA dimostrano che il dissesto idrogeologico rappresenta una emergenza da affrontare con urgenza. Con il 91% dei comuni in aree a rischio idrogeologico non è più rinviabile un’alleanza fra governo, Autorità di distretto idrografico e comuni per affrontare una situazione che mette a rischio dove i fenomeni legati al dissesto e ai cambiamenti climatici vengono amplificati dalla cementificazione e dalle edificazione legalizzate.
L’ultimo aggiornamento della mappa del dissesto idrogeologico conferma la necessità di strategie che superino l’attuale Struttura di Missione ‘Italia Sicura’ presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, restituendo protagonismo e centralità al ministero dell’Ambiente.
Vanno riviste le priorità di pianificazione urbanistica comunale, pianificando le aree libere, rispettando le aree golenali dove le acque possano scorrere e garantendo la resilienza dei sistemi naturali con opere di rinaturalizzazione, in una situazione in cui gli effetti dei cambiamenti climatici sono un elemento quotidiano. Bisogna garantire la naturalità dei nostri corsi d’acqua ed è necessario pianificare più interventi ‘in verde’ per rendere aumentare la sicurezza delle nostre città.
Gli studiosi del gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila, che collaborano con il WWF, ci dicono che dal 1950 ad oggi, nella fascia di 150 metri dai corsi d’acqua sono stati trasformati 2000 chilometri quadrati di ambiti fluviali, con un primato di circa 620 chilometri quadrati convertiti ad uso urbano per Toscana, Emilia Romagna e Veneto, seguite con trasformazioni che hanno riguardato 500 chilometri quadrati, da Lombardia e Piemonte.
Ma quello che è più impressionate è che gli interventi più pesanti si sono registrati sui corsi d’acqua minori, che sono passati da una conversione urbana del 3,56% nella fascia di 2590 metri dai corsi d’acqua negli anni ‘50 al 25,7% di oggi.